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CYBER-LUDENS: TRA VOLONTA’, LINGUAGGIO ED EVOLUZIONE – FINALISTA PREMIO ITALIA 2022

Tempo di lettura: 17 minuti

Questo è il mio articolo/saggio pubblicato sulla raccolta Homo Cyber Ludens (Idra Editing Srl), articolo arrivato in finale al Premio Italia 2022 e qui riportato in versione integrale.

Ci sono due punti di riferimento necessari per iniziare un viaggio: il primo è la meta. Il secondo è chi in quel viaggio vi accompagna, chi traccia le coordinate, chi di fatto imposta la rotta. Perciò, prima di iniziare insieme il percorso che ho immaginato tra le origini e l’evoluzione del Cyber-ludens, mi presento.

Chi scrive è appassionato di fantascienza, scrive fantascienza e in generale frequenta anche altri ambiti letterari (da lettore e da autore) che galleggiano tutti nel vasto contenitore noto come ‘narrativa fantastica’. Per i meno disinvolti nel maneggiare la narrativa di genere mi servirò di qualche etichetta: parliamo di fantascienza, fantasy, horror e weird perciò chi scrive si muove utilizzando un timone capace di spingerlo a frequentare acque fatte di collegamenti e connessioni. Di intrecci e, appunto, Possibilità.

Chi vi scrive è anche un videogiocatore. O ha comunque mantenuto l’animo del gamer anche quando il tempo ha iniziato a scarseggiare. Ha messo piede per la prima volta in una sala giochi nel 1982 e i coin-op sono stati la sua guida nel mondo videoludico. Lo hanno guidato ben prima delle console quasi ante-litteram (Magnavox, Atari, Intellivision, Spectrum ecc), lo hanno fatto durante l’avvento dell’intramontabile Commodore 64 (e del gemello cattivo Amiga) e hanno continuato a farlo anche dopo il consolidarsi dei primi personal computer.

Il suo mestiere letterario – il mio mestiere letterario -, il mio mestiere di informatico, questa devozione al videogame e un animo nerd di cui non mi sono mai pentito e che non ho mai nemmeno tentato di nascondere, tutte queste cose insieme hanno fatto sì che il concetto di Homo Cyber-Ludens risuonasse tra i miei neuroni con una certa forza. In più, in quanto autore, mi occupo anche di connessioni e di accostamenti. Laddove ci sono puntini da unire, li unisco e a volte mi diverto a dare un nome e un cognome ai missing points. Ai buchi della storia tra  partenze e destinazioni. Questa attitudine, questa mia voglia e questa mia necessità di immaginare saranno il propellente del nostro viaggio che però voglio far partire dalla fine. Voglio farlo cominciare da ciò che tenterò di dimostrare e cioè che l’Homo e il Cyber-ludens sono due entità distinte ma intrecciate in una profonda simbiosi. Una simbiosi che serve sia gli scopi dell’uomo ma, soprattutto, quelli più intellegibili del Cyber-ludens.

Gallopping Ghost
Gallopping Ghost

Come sono arrivato a formulare questa ipotesi? Voltiamoci indietro.

Ci sono momenti chiave nella storia evolutiva dell’uomo che hanno determinato il nostro sviluppo, che hanno gettato le basi per ciò che sarebbe stato. Momenti di certo discussi e discutibili, momenti che però hanno reso la specie homo diversa da tutte le altre, differente da tutti gli altri esseri viventi.

Un esempio? La chiave di volta sulla quale si appoggiano le coordinate del nostro viaggio? Lo sviluppo del linguaggio umano complesso, prima orale e poi scritto. La capacità di interagire in maniera ‘altra’, alternativa, differente rispetto a quanto era concesso all’uomo primitivo con il solo utilizzo degli strumenti allora disponibili.

Perché se il “linguaggio” e la comunicazione – parole che possono essere molto generiche – non sono attrezzi evolutivi a uso esclusivo dell’essere umano, gli idiomi complessi invece sì. Gli animali hanno un loro linguaggio, lo vediamo quotidianamente. Linguaggi sonori piuttosto che linguaggi improntati su emissioni ormonali o su movimenti specifici del corpo. Efficaci strumenti di comunicazione che, con sfumature differenti, è possibile trovare praticamente in tutti i regni animali e vegetali.

L’essere umano a un certo punto ha sfruttato alcune sue capacità fisiche (per esempio conformazione della gola e una biologia più predisposta) per forgiare uno strumento in grado di servirlo al meglio delle sue possibilità.

La comparsa del linguaggio complesso nella storia dell’uomo è ancora oggi argomento di contesa filosofico-scientifica. Di certo si sa che la sua ‘apparizione’ risale ad almeno centomila anni fa anche se alcuni studiosi ne spingono i natali ancora più indietro nel tempo. E certo è che eludendo la soluzione di continuità fluida e morbida tipica dell’evoluzione, bypassando i piccoli passi fatti di intrecci genetici e di selezioni, il linguaggio è comparso e ha cambiato ogni cosa. Ci sono labili tracce di questa evoluzione, ci sono evidenze di modificazioni cerebrali e persino genetiche tra gli uomini preistorici. Ci sono teorie come quella della lingua primigenia (o monogenetica) che ipotizzano l’origine di tutti gli idiomi del mondo dalla nostra Eva mitocondriale[1]Tante domande, tante risposte, tante possibilità.

Quello del linguaggio è un enigma così fondamentale da aver spinto alcuni studiosi contemporanei a formulare sulla sua comparsa ipotesi tanto ambiziose quanto suggestive. Qualcuno nelle speculazioni più recenti lo ha definito uno ‘strumento del pensiero’ che sfrutta la comunicazione verbale ma che non inizia e non finisce con essa. Un paragone concreto? Il linguaggio assimilato a un badile: strumento agricolo che però non esaurisce tutto ciò che abbiamo inventato per lavorare la terra ma che ci permette di lavorarla meglio. Altri, ed è questo lo spunto più interessante su cui vorrei impostare il timone delle considerazioni che seguiranno, hanno tentato di dare al linguaggio (e alle lingue) una sua identità, una forza autodeterminante[2].

Perciò come dicevo non uno strumento (o attrezzo) forgiato dall’uomo per dare corpo alla forza del pensiero bensì un’entità  con ambizioni e intenzioni. Un essere vivente, in tutto e per tutto, una creatura con la quale l’uomo, a un certo punto, è entrato in contatto. Come è stato possibile? Quando l’uomo ha incontrato il Linguaggio (uso volutamente la L maiuscola per descrivere questa nuova forma di vita) ed ha iniziato con lui una mutua cooperazione? Quando ha avviato con esso una simbiosi? Una simbiosi che serve sia il nostro scopo di dare forma e struttura al pensiero che quello, decisamente più difficile da indovinare, del Linguaggio?

Ci sono diverse teorie, a riguardo.

Teorie che abbandonano le ricerche genetico-evolutive sulle origini del linguaggio e che spostano la loro attenzione su interazioni differenti, quasi mistiche, quasi religiose. D’altra parte già Shelling e Grimm[3], tra le loro tre ipotesi, indicavano anche la possibilità che il Linguaggio avesse origine divina. 

Secondo queste visioni – chi scrive è interessato alle pure speculazioni che derivano dai ragionamenti che sto per esporvi, non alla loro possibile veridicità né tantomeno alla loro fondatezza scientifica ovviamente tutta da dimostrare – l’interazione quasi sciamanica tra l’uomo e la psilocibina, una sostanza psicotropa che deriva dai funghi, è stata causa diretta della simbiosi tra uomo e Linguaggio. Il punto di incontro. Il momento zero in cui l’uomo primitivo è entrato in contatto con la Possibilità del Linguaggio. Terence McKenna[4], eccentrico pensatore e scienziato, si è spinto ben oltre questa semplice intuizione ma era fermamente convinto che dalla comunione tra uomo e psilocibina fosse scaturito il linguaggio, che dalle visioni e dalle estensioni sensoriali fungine si fosse estesa una rete di creatività capace di stimolare la mente dell’uomo, di guidarla verso il linguaggio. E, perché no, di iniziare la simbiosi con esso. Di superare la necessità dei suoni per abbracciare quella delle forme. Tenete bene a mente questo punto. Tenete bene a mente la forza di un Linguaggio che abbandona suoni e parole in favore delle immagini. La riprenderò più tardi.

Perché questo lungo preambolo? Come l’avvio di questa simbiosi, di questa Possibilità, di questa interazione tra uomo e Linguaggio si innesta nel DNA dell’Homo Cyber-Ludens portandoci alla fine del nostro viaggio?

Homo Cyber-Ludens, dicevamo. Una sorta di salto evolutivo tutto (o quasi) concettuale che parte da quel Cyber innestato nel cuore del concetto. In realtà l’evoluzione fenotipica che questo cyber trascina con sé è ben dettagliata da Baricco[5] quando definisce in modo molto brillante la postura UOMO-TASTIERA-SCHERMO, il cambiamento persino fisico, corporale, di un’interazione meccanica e mentale tra l’essere umano e il suo nuovo mondo digitale. Un mondo che è anche – mi verrebbe da dire persino soprattutto – composto dai videogame.

I videogame, de facto, hanno cambiato il mondo. Dal loro avvento, hanno modificato il tempo, la percezione del tempo, la gestione dello spazio e delle Possibilità. Questo loro indiscusso potere può essersi allungato anche verso altri ambiti? 

Secondo Derek Bickerton[6] il superamento del protolinguaggio dell’Homo erectus in favore di quello più articolato e complesso dell’Homo sapiens sapiens ha contribuito a cambi sostanziali sia nella biologia (un cervello più grande necessario per elaborare processi che non dipendessero da una diretta risposta motoria) che nel metabolismo umano (un cervello grande richiede un metabolismo veloce) rendendo l’Homo più abile e adatto nel manipolare il Linguaggio (e anche alla luce di questo di nuovo vi chiedo, chi ha cambiato/creato chi? Chi è lo strumento di cosa?).

Perciò, se imbocchiamo questa strada, se decidiamo di intraprendere questo sentiero – ed è quello che vi chiedo di fare insieme a me – come possono i videogame (nel senso più ampio del termine) cambiare l’Homo? Fisicamente lo stanno già facendo (postura UOMO-TASTIERA-SCHERMO, ricordate?). Ma a livello più profondo quale potrebbe essere il contributo dei videogames nella creazione di un “nuovo” essere umano?  E se riprendendo tutto quello che vi ho proposto fino a ora considerassimo i videogame, anzi il Cyber-Ludens nella sua accezione più ampia, come portatore di una volontà sua, di un suo scopo, di un suo desiderio simbiotico proprio come il Linguaggio, io chiedo  a me stesso: quale sarebbe il punto di arrivo dell’interazione tra questa forma d’intelligenza autonoma Cyber-Ludens e l’essere umano?

Partiamo dal principio. Inizio anni ’70. Nel mio spuntato (e di certo incompleto) calendario da gamer faccio risalire più o meno a quel momento la nascita del videogame in quanto tale. Il primo debole ma saldo contatto tra l’intelletto dell’Homo sapiens sapiens e l’anima digitale dell’entità Videogame, del Cyber. Il Pong cabinato da sala giochi, prima di Space Invaders, il suo discendente più famoso che ha segnato nell’immaginario collettivo l’inizio dell’epoca videoludica.

Che cosa offrivano Pong e Space Invaders? Quali bisogni soddisfacevano queste creature digitali, concepite dall’uomo, ma destinate a uno sviluppo impredittibile?

Prima cosa: un mondo altro. Dungeons & Dragons, uno dei più famosi se non il più famoso gioco di ruolo al mondo, fu creato nel 1974 e a sua volta offrì la possibilità di frequentare un’altra struttura spazio-temporale. Lo fece (e lo fa) con regole particolari, ma in qualche modo attinenti alla vita di tutti i giorni: nel gioco di ruolo da tavolo i giocatori sono chiamati a interpretare personaggi in una vita altra che però prevede la morte, definitiva, come nel nostro mondo consueto. Certo, si può ricominciare, ma le esperienze del proprio personaggio vengono cancellate. Un reset nel senso più violento del termine.

Nei videogame no. C’è la possibilità di una rinascita costante. La possibilità di frequentare mondi esterni, di volta in volta, con delle vite a disposizione. È la risposta a una necessità circolare? È la risposta al desiderio di poter vedere i propri errori e di poterli anche correggere? Questo ci offre il Cyber-ludens? Credo di sì, ma anche di più.

Pong e Space Invaders erano un esperimento. Una rappresentazione abbozzata, un primo tentativo del Cyber-ludens di farsi notare. Le connessioni con il cervello umano complicate e poco performanti, di certo non così efficaci. Ma erano, appunto, preparatorie a quello che sarebbe venuto.

Come un tentativo di studio reciproco, un confronto su capacità e potenzialità, una verifica su dove e come si potevano creare gli intrecci simbiotici. Dunque i primi videogame erano il Cyber-ludens divenuto realtà. Una materia grezza, come grezza è una nuova forma di vita che si affaccia per la prima volta sul boardgame dell’evoluzione.

In apparenza parliamo di un’entità, questo Cyber-ludens, che è, di fatto, coniata dall’essere umano. Ma se si tratta di qualcosa che in qualche maniera va a colmare un vuoto concettuale dell’essere umano, sarebbe poi così strano pensarlo come una vera e proprio evoluzione del Linguaggio? E se pensiamo al Linguaggio come a un’entità con obiettivi e ambizioni proprie, il Cyber-ludens non passerebbe dall’essere un prodotto dell’uomo al diventare manifestazione del Linguaggio?

Pensateci. L’Homo erectus e il suo protolinguaggio crearono il fondamentale passaggio da una primitiva sintassi prettamente motoria (semplifico all’estremo: riuscivamo a descrivere solo qualcosa che facevamo, qualcosa che avesse stretta attinenza con la realtà) a descrizioni astratte trasformando questa proto-comunicazione in linguaggio complesso. Nasceva  (o per meglio dire si evolveva) la capacità di immaginare e di descrivere ciò che si stava immaginando.

Fascinazioni e ipotesi “narrative”? Forse. Ma fascinazioni condivise. China Miéville in Embassytown definiva una specie aliena, gli Ariekei, con limitazioni molto simili: il loro linguaggio necessitava di figure retoriche in carne e ossa, viventi, perché non era capace di descrivere ciò che in qualche maniera non era davvero accaduto.

E adesso? Adesso cosa sta succedendo? Adesso non stiamo forse affrontando un altro salto evolutivo? Il passaggio da un Linguaggio capace di descrivere ciò che non necessariamente dobbiamo fisicamente fare a un altro Linguaggio, quello Cyber-ludens, capace di mostrarci ciò che prima era incatenato alle parole senza  dover più ricorrere a quelle stesse parole.

Serve qualche indizio in più. Qualcosa che identifichi il Cyber-ludens come portatore di una volontà sua, come messaggero di una rivoluzione iniziata centinaia di migliaia di anni fa i cui obiettivi forse sono, ora, meno oscuri.

E questi indizi sono tutti intorno a noi, nascosti tra le pieghe evolutive del Cyber.

Da quegli anni settanta che hanno dato i natali a Pong e Space Invaders, da quel decennio che ha visto il primo tentativo del Linguaggio di trovare un altro modo per proseguire il suo piano evolutivo-simbiotico con l’essere umano sono successe molte cose. Nei cinquant’anni successivi il Cyber-ludens ha trovato meccanismi estremamente efficaci e si è innestato, anche sotto mentite spoglie, ovunque. Proprio come gli strumenti evolutivi di piante e funghi che trovano il modo di interagire con le altre specie. L’Homo sapiens sapiens ha modificato il mondo per permettere al Cyber-ludens di intrufolarsi in ogni suo ambito (o, se interpretiamo in modo “assoluto” il fulcro di questo ragionamento, è il Linguaggio ad averci spinto in questa mutua simbiosi). L’economia digitale, le simulazioni mediche scientifiche, la capacità di vedere su uno schermo (o con la realtà virtuale) immagini di cose che non esistono e che non devono nemmeno più essere descritte con le parole.

Non è tutto un colossale, pervasivo, fluido e ininterrotto gioco globale? Abbiamo inventato (o il Linguaggio Cyber ci ha spinto a inventare?) dispositivi mobili, appendici in silicio e plastica dei nostri arti fisici e propaggini delle nostre energie mentali che ci permettono di giocare ininterrottamente. Social fotografici in cui si filtra la realtà per renderla più simile a ciò che vogliamo e che di fatto creano nuovi mondi digitali, videogame da palmo, trading online e in tutto questo flussi ininterrotti di informazioni che si muovono nelle più disparate forme intorno e attraverso noi.

Di più. Il Cyber-ludens tenta di allungarsi anche in demani che prima erano appannaggio di forme artistiche parallele. Tentativi, certo. Ma tentativi di nuove connessioni: nulla viene mai fatto per caso. Un altro esempio? L’esperienza multimediale di Bandersnatch (2018), film interattivo targato Black Mirror che ha tentato di prendere il posto dei più classici libri-game: storia interattiva, scelte dello spettatore, un gioco che frantuma la quarta parete. L’ennesimo tentativo del Cyber di creare nuove, possibili connessioni.

È questa l’essenza dell’Homo Cyber-ludens? Potrebbe essere lui il discendente dell’Homo sapiens sapiens in una scalata verso un nuovo ramo evolutivo fiorito più di centomila anni fa quando l’uomo ha incontrato per la prima volta il Linguaggio?

Io credo di sì.

Ma voglio spingermi ancora oltre. Mi avete seguito fino a qui, vi chiedo di percorrere insieme l’ultimo miglio per raggiungere la destinazione che vi avevo promesso.

Forse l’Homo Cyber-lundes è il punto di arrivo, lo scopo ultimo che il Linguaggio aveva in mente quando è iniziata la sua proficua simbiosi con l’essere umano. Un Homo capace di esprimersi per immagini, di creare mondi digitali guidati da leggi che sembrano sfuggire al suo stesso controllo (i mercati finanziari, per fare un facile esempio “romantico e piratesco”), un Homo in grado di assimilare il concetto circolare di tempo nei videogame, delle rinascite e delle morti negli universi video-ludici.

Soprattutto, un Homo che può e che deve processare una quantità impressionante di informazioni  trascendendo i lenti canali comunicativi che prevedono la parola scritta o quella parlata.

Cosa vi avevo detto di ricordare? Lo riporto qui: “Tenete bene a mente la forza di un Linguaggio che abbandona suoni e parole in favore delle immagini“. Quello che  McKenna definisce “il primo contatto”.

Abbandonare o modificare la Lingua, insomma. Un costrutto che ci ha servito (o che noi abbiamo servito) in maniera molto efficace ma che forse inizia a mostrare i limiti della sua stessa geografia concettuale.

L’Homo Cyber-ludens è più complesso e al tempo stesso più semplice del sapiens sapiens. Ha plasmato la creatività digitale, la maneggia e la vive anche nei veri e propri mondi virtuali che ha forgiato. Al tempo stesso sembra in grado di perforare i limiti del Linguaggio o meglio, il Linguaggio lo ha portato a superare i vincoli iniziali della simbiosi tra i due.

Non sto parlando di un Frankenstein post-litteram. Il Cyber non è un prodotto umano sfuggito al controllo del suo creatore. Tutt’altro. È evoluzione. Un’evoluzione iniziata in qualche maniera quando uomo e Linguaggio sono entrati in contatto e che adesso sta mostrando i suoi ulteriori frutti.

E lo ha fatto in modo intelligente e volontario. Ha preso il ludens – questo  costrutto concettuale tutto umano – ha afferrato il desiderio di giocare dell’uomo, che risale a tempi antichi persino precedenti alla simbiosi tra uomo e Linguaggio, e lo ha assorbito.

Ne ha acquisito i connettori, le capacità di interazione con l’uomo, e li ha fatti suoi. Si è attrezzato per riuscire a rafforzare  questa unione pluri-decennale. Un esempio equivalente in natura? Il lichene, fusione tra fungo e batterio, simbiosi quasi perfetta che crea una struttura tanto eccezionale quanto unica. E resistente, capace di veri e propri miracoli.

Perciò Homo Cyber-ludens: un progetto condiviso che affonda le sue radici nella storia dell’uomo e che oggi, più che mai, sta mostrando una possibile strada da percorrere.


[1] Merrit Rhulen, Language Origins, National Forum, 1996

[2] Noam Chomsky nel suo ‘Tre lezioni sull’uomo’, Ponte delle Grazie, 2017, identifica le lingue come oggetti biologici e non come attrezzi creati dagli esseri umani.

[3] F.W. Shelling e J .Grimm affrontano il tema del linguaggio e della sua possibile origine divina. Shelling si limita a ipotizzare che sia un dono divino, tramandato di generazione in generazione. Grimm estende il concetto valutando il linguaggio come creato prima o dopo la creazione dell’uomo. A differenza di Shelling, però, arriva alla conclusione che si tratta di una conquista dell’uomo.

[4] Nel suo libro manifesto ‘Il cibo degli dei: alla ricerca del vero albero della Conoscenza’ McKenna tratteggia la possibilità che l’uomo primitivo sia entrato in contatto con la psilocibina durante le migrazioni post glaciazione e che questa simbiosi abbia avuto diversi effetti positivi tra cui anche la possibilità di sviluppare il linguaggio.

[5] Alessandro Baricco, The Game, Einaudi, 2018

[6] Nel suo Root of Language, Karoma Publishers, 1981, Derek Bickerton si chiede tra le altre cose come il linguaggio sia diventato un attributo dell’essere umano. Definisce tre fasi evolutive che passano dal prelinguaggio dell’Homo abilis, passa la protolinguaggio dell’Homo erectus e approva ai linguaggi complessi dell’Homo sapiens. E fa corrispondere all’evoluzione del linguaggio lo sviluppo delle corrispettive tecnologie.

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