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L’assenza del passato genera mostri

Tempo di lettura: 3 minuti

“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”
George Orwell

Quando l’ISIS ha iniziato a distruggere i siti archeologici non ho potuto fare a meno di ripensare alle parole di George Orwell citate qui sopra. In qualche maniera gli integralisti dello stato islamico intendevano (e intendono) riportare indietro la lancetta del tempo al VII secolo cancellando, di fatto, tutte le installazioni culturali venute dopo.
Avevo relegato questo atteggiamento come esclusivo del terribile estremismo islamico ma poi, un po’ dappertutto anche nel mondo occidentale, hanno iniziato a suonare piccoli campanelli d’allarme. Eventi in apparenza scollegati tra loro, di entità e gravità molto differenti, promossi da ideologie o schieramenti che poco hanno a che spartire gli uni con gli altri. Unico comune denominatore? Una soffocante smania di cancellare il passato. Non si parla di controllo, non si parla di revisionismo ma solo di una distruttiva tendenza a rimuovere lasciando spazi vuoti laddove, nel bene e nel male, c’era qualcosa.
I monumenti fascisti a Roma, le statue del Generale Lee a Charlottesville, le statue di Cristoforo Colombo e la cancellazione del Columbus Day a Los Angeles. Al netto di ciò che ogni monumento rappresenta, intorno a esso c’è una storia. Errori, eroismi, successi, passioni, dolori.
E’ come se la modernità non avesse la forza necessaria per continuare a comprendere e convivere con quanto accaduto dieci, cento, mille anni fa. E’ come se il presente fosse così avido di risorse dal suggerire che l’unico modo per essere all’altezza delle sfide contemporanee è dimenticare il passato.
Dimenticare. Perché la rimozione non è revisionismo. Non è tentativo di controllo. La rimozione è sconfitta e abbandono. Un monumento non è buono o cattivo. Un monumento è storia, è passato e cancellare il passato è molto peggio che controllarlo. L’impressione è che il presente sia così difficile da decifrare, che ci troviamo così poco attrezzati per gestire la contemporaneità, da vedere nella semplificazione una possibile via di fuga.
Ma non è così, non può essere così. I monumenti e le celebrazioni sono le cicatrici che la storia lascia sulla società degli uomini. Alcune si rimarginano bene, altre lasciano un brutto segno ma l’assenza di cicatrici significa che non si è vissuto. E la non vita è retaggio di chi respira solo nel presente. I mostri peggiori nascono quando non c’è la consapevolezza di cosa sono e da dove sono arrivati.

Il passato è debole. E’ come una finestra che dà su un enorme immondezzaio, un passaggio che non porta da nessuna parte.

Mi cito perché ho provato a estremizzare questa tendenza a vivere nel presente nel mio racconto “La Variabile del Dolore“, dove ho anche tentato di immaginare quale sarebbe il prezzo da pagare per una società che vive solo nel presente. Quanto l’ho scritto era solo una suggestione, adesso inizio a temere che potrebbe essere qualcosa di più.

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1 Comment

  • Steffy
    Posted 25 Settembre 2017 at 10:34

    In base a mie recenti letture si potrebbe riformulare il tuo titolo: “L’assenza del passato genera morte”. Un po’ più a fondo nelle cose della ‘vita’, qualcuno asserisce ciò che mi sembra il medesimo principio. Dall’idea di Samuel Butler in Life and Habit 1878: “La vita è quella proprietà della materia che è in grado di ricordare, e la materia che è in grado di ricordare è viva”. Considerando che tutto ciò che è potrebbe essere basato ed evolversi su ciò che è stato e applicando lo stesso principio alla gretta e superficiale storia di umane miserie, otteniamo il tuo assunto.

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