Skip to content Skip to footer

[RACCONTO] – Solo Ora

Tempo di lettura: 6 minuti

Ti svegli senza la certezza di aver dormito davvero perché l’unica differenza, ormai, è
come percepisci le informazioni. Quando dormi, o meglio quando non sei del tutto
sveglio, c’è un costante rumore di fondo, un ronzio incolore interrotto solo da qualche
sporadico picco.
Pennellate di urgenza. Ecco come li chiami. Sono macchie dai colori forti che superano
la barriera del non-sonno per arrivare alla tua corteccia e sollecitarla. Le elabori, le
scomponi, ne assimili il contenuto – può essere un’improvvisa fluttuazione dei mercati
che non ti aspettavi o il rilascio di una nuova intelligenza artificiale dedicata agli indici
economici dell’Eurasia – e decidi cosa fare.
Se credi non sia così determinante, non esistono informazioni inutili nel tuo mondo, la
incameri e aspetti di utilizzarla poi, quando verrà il momento.
Se invece pensi sia importante smetti di ascoltare tutto l’altro rumore e ti dedichi a
quell’informazione, a come gestirla, ai mille modi in cui può cambiare il corso della
giornata, della settimana, dell’anno. Della vita.
In quel caso riprendi il controllo di te, delle interfacce che popolano ogni centimetro
dell’appartamento luminoso in cui vivi, e ti metti al lavoro.
Informazioni e fatti ti circondano sempre, in ogni momento, in ogni istante. Anche se una
parte della tua mente è a Pechino, concentrata sui modelli statistici che scivolano uno
sull’altro per ridurre di un altro decimale il modello matematico, quello che resta di te è lì.
O a Londra. O a Milano.
Analizza, scompone, elabora, processa il presente in ogni sua minuscola sfaccettatura.
Perché è del presente che ti cibi. E così fanno gli altri. Li vedi, dalle vetrate del tuo
appartamento. Li vedi che si spostano, avvolti da una nube di dati, informazioni, fatti,
notizie, eventi. Li vedi muovere le braccia, le mani, imitando antichi gesti tanto inutili
quando fondamentali per ciò che sono diventati. Che sei diventato. È grazie a quei
movimenti che organizzate il vostro presente, che incasellate la realtà nelle giuste zone
del cervello, che saturate spazi già colmi con cataste di cose delle quali non potete piùfare a meno.
C’è una piccola rivolta nelle Americhe. C’è un aggiornamento di un sistemo operativo. Ci
sono una nuova medicina e una nuova malattia.
Devi sapere tutto perché è così che funziona. Non puoi farne a meno, nessuno può farne
a meno. E allora raccogli, elabori, processi, incaselli.
Sai di non essere un robot. Sai di non essere un androide. Sai di non essere una
macchina. Quello che sai, che tutti voi sapete, è che succedono troppe cose per poterne
non ascoltare anche solo una.
Perché ci sono anche gli altri. Tutti gli altri. Le loro voci si innestano nel flusso di ciò che
accade e tu le ascolti. Una. Dieci. Cento. Ascolti, rispondi. Parli col vicino, parli con un
conoscente dall’altra parte del mondo, sorridi a un battuta che scivola tra le spire
informative. Ascolti. Rispondi. Ridi.
Con il polso flessibile, maestro di musica che orchestra una melodia vasta come il
mondo intero, incaselli anche tutte le altre persone. E rispondi. A tutti, e subito. Ora.
Perché l’unica cosa che conta, che conta davvero, è il presente.
Quanto tempo è passato? Non lo sai. Lo percepisci scorrere, ma non ha più importanza.
Non ha importanza dove stai andando perché partenza, viaggio e destinazione sono tutti
intorno a te, nello stesso istante.
È il tuo presente. Quello di tutti coloro che ti circondano. Il presente è accogliente,
generoso. Non vuole nulla in cambio ma è capace di darti tanto. Di darti davvero tanto.
C’è uno sciopero degli operatori economici a New York. C’è un nuovo androide
domestico. C’è la Compagnia con i suoi nuovi farmaci. Ci sono i ricordi.

A volte però capisci che il tempo sta passando, o almeno che lo sta facendo nella
vecchia concezione che hai di te. In quel modo antiquato e inutile, scandito da cose
passate che sedimentavano una sopra l’altra fino a creare un castello pericolante,
inutile, superato. Capisci che il tempo sta passando perché inizi a sentirti strano. Le
informazioni rallentano. Incespicano. Annaspano da e verso te.
No. Non è esatto. Sei tu che rallenti. Fatichi a trovare il posto giusto a ogni cosa.

Inciampi, poi ti rialzi, poi cadi di nuovo. Senti che stai perdendo informazioni, che stai per
uscire dal totalizzante flusso dell’oggi, che tutto ciò che hai, tutto ciò che è, non basta più.
È in quel momento che arrivano. Il presente decelera e capisci che è passato tempo
dall’ultima volta. Il presente rallenta e nel vortice inesauribile di ciò che sta accadendo
ora arriva qualcosa da un altro tempo. Da un altro luogo.
Sono ricordi. Sono emozioni. Belle. O brutte. Sei tu che giochi insieme ad altri bambini.
Sei tu che ti fai male cadendo. Sei tu che ridi mentre qualcuno continua a muovere
l’altalena sulla quale sei seduto. Sei tu che piangi la morte prematura di tua madre.
Sei tu? No. Sai di non esserlo. Sai che quei ricordi arrivano da un altrove che non
conosci ma sai anche che sono necessari per consentirti di vivere ora. E sai anche che
subito dopo averli vissuti diventeranno parte di te. Qualcuno, da qualche parte, ha
giocato con altri bambini. Qualcuno, in qualche luogo, è caduto mentre correva e si è
sbucciato un ginocchio, facendosi male. Qualcuno era sull’altalena, felice di trovarsi lì.
Qualcuno ha pianto perché la morte lo ha colpito da vicino.
Sei tu? No. Sai di non esserlo ma non importa. Quelle emozioni, quelle strutture, quei
ricordi arrivano da un luogo diverso e da una mente differente dalla tua. Dicono che da
qualche parte, fuori dalla città, i ricordi vengono allevati. Confezionati appositamente per
essere iniettati in te, in quelli come te, perché è ciò di cui avete bisogno. Finiranno con
l’essere dimenticati, un pezzo alla volta. Il presente li divorerà e tu dimenticherai persino
di averle provate, quelle cose.
Perché tutto ciò che ti serve è intorno a te, in questo momento, in questo luogo. Le
memorie di un passato che non ha alcun valore sono necessarie, sono oggetti senza
forma da sacrificare all’adesso, all’oggi di cui vuoi e devi occuparti. Sono frammenti e
porzioni di un tempo che non c’è mai stato davvero ma di cui hai bisogno.
Non sapresti spiegare il perché ma quando il presente rallenta, quando ti senti sopraffare
dalle cose che stanno succedendo in questo momento, da quello che devi assorbire a
tutti i costi qui e ora, è in quel momento che ti servono ricordi. Hai bisogno di entità
carnose, di gomitoli umidi di passato da poter scarnificare. È da loro che ottieni il
carburante necessario al presente. È da quella destrutturazione progressiva di ciò che eri, o di ciò che ti hanno iniettato come passato, che rinasce il presente assoluto. Non sei
ciò che eri, non importa ciò che sarai. Non sei la somma del tuo passato, non sei il tuo
futuro.
Sei oggi. Adesso. Solo oggi. E solo adesso. Tutto il resto non conta, non è mai contato e
non conterà mai.

Questo breve racconto è ispirato a La variabile del dolore, il mio contributo all’antologia Propulsioni di Improbabilità, pubblicata da Zona42.

Condividi!

1 Comment

  • Sonia
    Posted 21 Maggio 2020 at 19:12

    É sempre molto bello leggerti. Complimenti.

Leave a comment

0.0/5

0