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Raised By Wolves – di Aaron Guzikowski

Tempo di lettura: 9 minuti

Lo ammetto: avevo inizialmente snobbato la serie fantascientifica marchiata Ridley Scott (quindi in veste di produttore oltre che regista dei primi due episodi). L’avevo snobbata per il mio amore-odio nei confronti delle serie TV e l’avevo snobbata perché il trailer aveva qualcosa di strano, che non mi convinceva. Poi i commenti positivi di alcuni fidati amici amanti della fantascienza hanno spinto ad affrontarla e per questo li ringrazio. Perché, lo dico subito, Raised By Wolves mi è piaciuta. Mi è piaciuta la sua estetica e mi è piaciuto soprattutto il suo svilupparsi su più livelli, la sua capacità di offrire una visione di superficie ma al tempo tesso di lasciar intravedere molto di più. E di spingere a cercarlo, quel qualcosa in più. Ma andiamo con ordine.

LE IDEE OLTRE LO SCHERMO

Aaron Guzikowsky, la penna dietro Raised by Wolves, non è – cito Peter Venkman – un ‘fortuito‘. Sua è la sceneggiatura di Prisoners (2013), pellicola praticamente perfette di Denis Villeneuve nella quale Guzikowsky intrecciava una solida storia thriller con un approccio molto intimista al dolore, alla speranza e all’ossessione. Queste tre cose – dolore, speranza e ossessione – sono coordinate che ritroviamo anche in Raised by Wolves, sentieri narrativi che Guzikowski conosce bene e che qui percorre all’interno di un’ambientazione ben più estrema di Prisoners. Siamo su un nuovo pianeta da colonizzare (il suggestivo Kepler-22 b), la Terra flagellata da un conflitto nucleare scatenato da fanatici religiosi (i mitraici) con lo scopo di spazzare via la gli infedeli, gli atei. Questo background storico alimenta e si alimenta della suggestioni proprie di Ridley Scott. Quali? La creazione, la provenienza, il destino, lo scopo. I grandi temi esistenziali che Scott da sempre affronta nelle sue intemerate fantascientifiche e che qui ‘appalta’ alla mano di Guzikowsky ben più intimista ma comunque capace di raccogliere un testimone così complesso.

COORDINATE DI UN MONDO FUTURO

Che storia racconta Raised by Wolves? Svelerò poco, solo il necessario per contestualizzare tutte le mie considerazioni successive. Madre (una perfetta Amanda Collin) e Padre (Abubakar Salim) sono due androidi che arrivano su Kepler-22 b con una missione: creare una colonia, concepire e allevare sei esseri umani, educarli liberi da ogni forma di religione e permettere così la colonizzazione di un nuovo mondo. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Il pianeta non è privo di pericoli e, tra morti accidentali e malattie misteriose, la missione di Madre e Padre sembra destinata a fallire. I piccoli muoiono uno dopo l’altro – solo Campion (Winta McGrath) resisterà – e l’arrivo dell’immensa Arca mitraica sconvolgerà il già precario equilibrio in cui Madre, Padre e Campion si trovano riportando a galla inquietanti verità. La potenza visiva che Ridley Scott mette in campo nei primi due episodi da lui diretti è notevole e dimostra che Scott è ancora uno dei registi più visionari a disposizione. La scelta di mostrare Kepler 22-b come un mondo arido, dai colori poco vividi (in questo mi ha ricordato Pitch Black), con i suoi enormi scheletri di dinosauri, infestato da una perenne cenere che sgorga dagli enormi crateri che lo costellano, trasmette subito la sensazione di trovarsi in un mondo ‘altro’, minaccioso, con qualcosa che attira e repelle al tempo stesso. L’arrivo dell’Arca, i due clandestini su di essa imbarcati – Marcus (Travis Fimmel) e Sue (Niamh Algar) sono eretici che hanno preso posto e sembianze di due mitraici per scappare dalla Terra – la strana profezia del bambino orfano: tre elementi che catalizzeranno tutto il proseguo della serie.

Copyright: Jon Kuyper

UNA REALTA’ A STRATI

Come dicevo, Raised by Wolves è composta da diversi strati. Il primo, più sottile e appariscente, è quello di una storia di fantascienza con qualche elemento classico. Una Terra in rovina. Una pianeta carico di speranza e un’estetica affascinante ma che sembra incastrata tra passato a futuro. Il secondo strato, localizzato appena sotto la superficie, attinge a piene mani dalla nostra mitologia. Madre, per esempio, è un evidente riferimento alla Lamia della mitologia greca. Quella Lamia, regina di Libia, di cui Zeus si innamora e di cui Era (moglie di Zeus) decide di vendicarsi uccidendo cinque dei suoi sei figli e maledicendola. Lamia impazzirà, diventerà incapace di dormire e inizierà a cibarsi dei figli della altre donne. Zeus poi allevierà parte della sua pena dandole la possibilità di cavarsi gli occhi per trovare un po’ di riposo.

I punti di connessione tra Lamia e Madre sono tanti e piuttosto evidenti. Anche lei perde cinque dei suoi sei figli. Anche lei poi si ‘nutre’ in qualche modo dei figli altrui e anche lei, da un certo punto in poi, diventa una sorta di vampiro post-litteram. E anche lei toglie gli occhi per riposare, per mettere a tacere l’antico spirito guerriero che la anima. Poi c’è il culto mitraico che mutua il nome da Mitra (anche se il nome del Dio mitraico in questa serie è Sol), altra divinità che appartiene al nostro remoto passato orientale. E poi l’Arca decisamente più biblica sia nel nome che nei passeggeri che ospita, e le Negromanti, androidi assassini scatenati dai mitraici contro gli atei, che mutuano i poteri dei non-morti banshee, che hanno un’iconografia assimilabile a quella del Cristo (con la loro posizione a braccia allargate e a piedi uniti, come in una sorta di crocifissione). E Padre e Madre, una sorta di Adamo ed Eva destinati a un nuovo Eden, un paradiso extra-terrestre da cui ricominciare. Un paradiso da non contaminare con il peccato originale di un culto religioso fanatico.

Copyright: Jon Kuyper

Poi c’è un altro strato ancora e questo è più innestato nell’epica di Ridley Scott, più legato ai temi tanto cari al regista. Padre e Madre, così come tutti gli androidi della serie, hanno chiari punti in comune con le ‘persone artificiali’ dell’universo di Alien. E se questo è un omaggio puramente estetico, non è pura estetica il tema della creazione tanto caro a Scott. Se in Prometheus (e in qualche modo anche in Alien: Covenant) il regista lo affrontava adottando un punto di vista altissimo e davvero molto ambizioso, qui la creazione è un tema decisamente più intimo. Personale. Così come è intimo e personale il senso di appartenenza, di predestinazione, di un viaggio dentro e fuori di sé, del rapporto tra genitori e figli. Questi elementi che Guzikowski fa suoi, sono del tutto propedeutici alla tappa successiva del viaggio.

RELIGIONE E PUNTI DI VISTA

Tralasciando il coraggioso monito che la coppia Scott-Guzikowski affida al buon senso dello spettatore indicando senza tanti fronzoli e con uno spiccato senso critico i pericoli di un fanatismo religioso trasversale (per questo il culto mitraico attinge a piene mani da più comparti religiosi, perché vuole mettere in guardia a prescindere dalle singole specificità), c’è un grande e potente elemento che a mano a mano acquista sempre più importanza. Il pericolo di assumere punti di vista dettati solo dalle proprie percezioni, da ciò che si sente, da ciò che si desidera. Un rasoio di Occam al contrario: la spiegazione più semplice non è quella da preferire, la spiegazione da preferire è quella che si allinea ai miei desideri.

Tutti in Raised by Wolves, nessuno escluso, abbracciano verità che nulla hanno a che fare con realtà oggettive. E non mi riferisco al culto mitraico. Quella sarebbe una sfida poco onesta da affrontare e che non scivolerebbe nel nostro vissuto quotidiano in maniera così insistente. Madre, per esempio. Madre crede a ciò che vuole, crede a una realtà che si è confezionata su misura fino a scoprire, proprio sul finale di stagione, che il miracolo che la riguarda non è un evento così lieto come credeva. I mitraici trovano un manufatto sconosciuto nel deserto e senza motivo lo eleggono a loro totem, a dispensatore di purezza e menzogna, a elemento che separa di veri credenti dai mentitori. La profezia del giovane orfano viene abbracciata da più persone, deformata a uso e consumo dei singoli per ottenere i propri scopi. Anche Campion si convince di piccole/grandi realtà oggettive, verità di comodo lo convincono di fare la cosa giusta, di essere nel giusto. Solo Padre sembra attenersi alla pura logica e la sua presenza è il perfetto contraltare per le scelte egocentriche di tutti gli altri.

Copyright: Jon Kuyper

Kepler-22 b è un paradiso terrestre al contrario. Un riflesso oscuro e opposto, un luogo in cui Eva non viene insidiata dal serpente ma, in un’altra simbologia potentissima, nei fotogrammi che quasi chiudono la serie, diventa lei stessa creatore di quel serpente portatore di rovina. Vittima dei suoi desideri si trasforma nella Lamia mitologia, consuma sangue umano, e genera il peccato. E ancora Kepler-22 b è un Eden al contrario dove le forme di vita si involvono, dopo tutto ciò che è noto, tutto ciò che si dà per scontato, prende una direzione differente da ciò che ci si era aspettati.

È questo secondo me l’altro grande e attuale messaggio della serie: le verità non possono basarsi su assunti individuali, su percezioni, su desideri. Una spietata fotografia del presente?

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