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[Recensioni Film] ‘Humandroid’ di Neil Blomkamp

Tempo di lettura: 4 minuti

VOTO:★★½☆☆
Neil Blomkamp gode di un credito quasi illimitato guadagnato sul campo grazie a ‘District 9’ (2009) ma il grande successo al suo esordio lo ha poi costretto a doversi sempre confrontare con la dura e perfetta pellicola sui gamberoni di Johannesburg.
E il confronto spesso può essere impietoso. Era accaduto con Elysium (2013), film senza una vera anima che pagava il prezzo di una produzione ad alto budget, e purtroppo è accaduto anche con ‘Humandroid’ (Chappie).
La storia non ha guizzi particolarmente originali. La Johannesburg tanto amata (e forse odiata?) da Blomkamp è una città difficile nella quale la grande criminalità organizzata spinge la Tetra Vaal a progettare una serie di droidi poliziotto umanoidi capaci di affiancarsi prima e sostituirsi poi alle normali forze dell’ordine. Il successo è garantito: gli Scout sono efficienti grazie anche a un sofisticato software che ne regola le azioni. Ma Deon Wilson (Dev Patel), il giovanissimo capo progetto della Tetra Vaal, ambisce a creare una vera e propria intelligenza artificiale e deciderà di installarne il primo prototipo sullo Scout 22, già destinato alla rottamazione. Nascerà così Chappie, droide senziente che muoverà i primi passi della sua nuova vita guidato da Deon e da una piccola banda di sbandati criminali (interpretati da Ninja e Yolandi, membri del gruppo rave sudafricano Die Antwoord). Nemesi e antagonista del film? Vincent Moore (Hugh Jackman), responsabile del più bellicoso progetto Moose della Tetra Vaal, che vuole il fallimento degli scout in favore del suo droide da battaglia.
A primo vista ‘Humandroid’ può sembrare un incrocio tra il bel ‘Corto Circuito’ (1986) e il bellissimo ‘Robocop’ (1987): in effetti ammicca a entrambe le pellicole soprattutto scegliendo, nella crescita di Chappie, la chiave di lettura ironica e scanzonata di Corto Circuito.
Però Blomkamp fa poi scelte molto strane. Da una parte decide di ragionare per stereotipi: il giovane nerd Deon Wilson, il timorato di Dio e guerrafondaio Vincent Moore, la cinica e limitata amministratrice delegate Michelle Bradley (Sigourney Weaver), la banale e poco credibile Tetra Vaal, le bande criminali di Johannesburg capeggiate da Hippo e la piccola gang dura ma dal cuore d’oro che sarà la famiglia di Chappie. Perciò luoghi comuni e personaggi forzatamente banali ma questo da solo non sarebbe un problema: lo stereotipo è un rifugio narrativo utile in certi casi. Dall’altro lato però decide di volare molto, molto alto. E la contrapposizione tra banalità e ambizione diventa indigesta.
Tocca tematiche importanti: la consapevolezza, la paura della morte e la ricerca di sé stessi. E si spinge ancora più in là: l’anima e la vera coscienza ottenuta con da riga comando linux e capace di stare all’interno di una chiavetta USB. Se Lucy (2014) ci consegnava tutto il sapere in formato plug&play, Chappie va molto oltre arrivando a sconfiggere la morte.
Sono temi imponenti che però Blomkamp annega in un cast spaesato (nessuno, tolto forse Hugh Jackman, sembra sapere ciò che fa) e in una scrittura fragilissima. Le domande di Chappie rivolte al suo Creatore: “Perchè mi hai creato, perchè mi hai dato la vita se poi sai che morirò?” sono le stesse che l’uomo fa a Dio ma nessuno sfiora nemmeno di striscio questa interessantissima somiglianza lasciandola scorrere sottotraccia come molti altri temi che il film tocca appena. Non solo. I risvolti di Humandroid sono potenti e creazionisti: forgiare la consapevolezza, prolungare la coscienza oltre la vita, cambiare completamente il paradigma uomo-esistenza. Anzi, sarebbero potenti.
Sarebbero. Blomkamp apre una bottiglia di ottimo vino ma ce ne serve un bicchiere allungato con acqua e zucchero rovinando sapori, profondità, aromi e retrogusti. E la cosa peggiore è che sembra consapevole di tutte le scelte che fa: sa di affrontare temi imponenti, ma decide di farlo con una sufficienza e una sciatteria quasi offensive.
Le cose che mi fanno più rabbia? Che visivamente ‘Humandroid’ funziona, che le musiche sono fenomenali (Zimmer non sbaglia mai) e che il regista dietro alla macchina da presa sa proprio il fatto suo. Insomma, Blomkamp ha ancora tanto credito ma se sbaglia anche il prossimo Alien, sarà davvero nei guai.
di Maico Morellini

Se volete saperne di più su Neil Blomkamp:
Preview di Alien – 25/02/2015
Recensione di Elysium (2013)

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