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Recensioni Film -‘Priest’ di Scott Charles Stewart

Tempo di lettura: 3 minuti

Se il personaggio di fantasia più rappresentato sul grande (e piccolo) schermo è Sherlock Holmes, un posto sul podio spetta comunque di tutto diritto anche al vampiro. Che sia esso il nobile e ammirabile Dracula di stokeriana memoria piuttosto che il meno nobile, efebico, vegetariano e dandy adolescente di Twilight, sempre di vampiro si tratta.
Ebbene anche Scott Charles Stewart, dopo averci dato una sua discutibile (quanto deprecabile) visione dell’apocalisse nel film Legion, si cimenta con il non-morto più illustre della tempo. E lo fa partendo da un assunto piuttosto inusuale e nostrano: gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Come circumnavigare uno dei luoghi comuni più abusati della storia per farlo diventare colonna portante di una pellicola horror? Con l’ausilio della teoria induttiva. Ovvero: gli occhi sono lo specchio dell’anima, i vampiri non hanno anima, ergo, i vampiri non hanno occhi.
Perciò il flagello della razza umana, costretta all’interno di città diroccate unite solo da una ferrovia che si snoda all’interno ti terre selvagge e pericolose, è ridisegnato come una sorta di Gollum privo di occhi, che vaga nudo per le terre selvagge e che complotta per la fine della razza umana guidato dalla geniale malvagità di una fantomatica regina delle covate (in questo il concetto di covata richiama lo scadente ‘Van Helsing‘ di Stephen Sommers con bacherozzi pronti a schiudersi per diffondere baby vampiri nel mondo).
Cosa si erge a difesa di un clero miope, sclerotico e decatente, nonchè dell’esistenza stessa della razza umana? Un ordine di monaci guerrieri, benedetti dal signore e con capacità combattive al limite dell’umano: i Priest, appunto. O il Priest.
Quali siano le motivazioni di un attore capace come Paul Bettany per impegnarsi in questo film, lo ignoro. Il fatto che fosse protagonista anche di Legion, non depone affatto a sua favore, ma qualche errore di valutazione nell’accettare ruoli ci può stare anche se vige sempre il detto errare è umano, perseverare è diabolico. In più vedere anche il premio oscar Christopher Plummer nel ruolo di un Monsignore non può far altro che aumentare la mia inquietudine. Fatto sta che entrambi si sono cimentati in questa impresa: purtroppo non è bastato per rendere ‘Priest’ un film interessante. Situazioni, dialoghi, dinamiche e combattimenti non funzionano. Sono tutte brutte copie di un cinema horror o fantascientifico serio e motivato e il fatto che tutto derivi da una graphic novel non giustifica affatto la superficialità con la quale si è deciso di affrontare la trasposizione.
Menzione d’onore per Karl Urban, non tanto per interpretazione o per ruolo, quando per l’estetica del suo personaggio: ricorda tantissimo una trasposizione cinematografica del santo degli assassini, di preacheriana memoria.

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