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Recensioni – ‘Il Trono di Spade’ – Seconda Stagione (aspettando la Terza)

Tempo di lettura: 5 minuti

Dopo il successo indiscusso e del tutto meritato della prima stagione, c’erano alcune incognite che, in potenza, gettavano qualche ombra sul proseguo di questa straordinaria saga fantasy.
Una su tutte: come se la sarebbero cavata sceneggiatori e registi (soprattutto questi ultimi) con le battaglie su vasta scala proprie del secondo capitolo delle Cronache? Non era una scommessa da poco perché se la prima stagione, chiusasi con la morte di Eddard Stark e con l’inizio della guerra dei cinque Re, aveva svolto alla perfezione il suo ruolo preparatorio adesso non sarebbero bastate le ottime location esterne. C’erano eserciti da mettere sulla scacchiera e flotte immense da disporre tra Roccia del Drago e le Rapide Nere.

Nemmeno a questo appuntamento lo staff straordianario della serie TV è arrivato impreparato. Ma andiamo con ordine.
Prima di arrivare all’epica battaglia finale tutti i pregi della prima stagione sono più che confermati. Il coraggio e la volontà di rispettare l’atmosfera decadente e crudele dell’orginale letterario non vengono a mancare come si poteva temere, dopo il successo planetario della stagione precedente. Anzi, se possibile le asprezze dei personaggi sono aumentate da scelte originali.
Come, già nel primo episodio della nuova stagione, l’omicidio di tutti i sospetti figli bastardi di Robert Baratheon ordinato da Joffrey. Si tratta di una delle sequenze più crude e terribili della televisione, da fare invidia anche alla produzione del grande schermo. Questo, insieme ad altri eventi che riguardano sempre Re Joffrey, aumentano la sua aura di malvagia perversione.
Insomma, anche se è passato un anno (televisivamente parlando), le intenzioni sono chiare: la produzione, e tutti quelli che lavorano al progetto, non intendono arretrare di un solo centimetro rispetto alle scelte (vincenti) della prima stagione.
Piano piano, un epidosio dopo l’altro, ci si avvicina alle prime schermaglie tra eserciti e qui l’astuzia diventa uno strumento fondamentale. Non è necessario, e non ne sentiamo nemmeno la mancanza, mostrare grandi eserciti che si scontrano su vaste pianure. Gli accampamenti sono vasti e sterminati ma, come sempre accade, gli eventi principali stanno nel dettaglio. Così la sortita di Robb Stark che consente al giovane lupo di cattuare Jaime Lannister ci viene mostrata nel suo epilogo, attraverso uomini sporchi e sanguinanti, di ritorno da una battaglia. Come si è svolta? Non è importante perché il lavoro di spessore sui personaggi è stato fatto, in precedenza, così bene che quello che vogliamo vedere è proprio legato alle interazioni tra i vari attori, figurati e non, della saga.
Questo alternarsi di confronti teatrali, nel senso migliore del termine, tra le pedine messe in campo e l’aspettativa di ciò che verrà accelera il ritmo, accelera le aspettative e le attese.
Tutto funziona, in questa stagione, ma quando Stannis Baratheon decide di partire alla guerra, facendo rotta per Approdo del Re con la sua vasta flotta, non siamo certi ci basti vedere l’esito di una scaramuccia. Non siamo certi sia sufficiente qualche intelligente e funzionale sotterfugio.
Questa consapevolezza era ben salda anche nelle menti della produzione che, non dimentichiamolo, aveva tra le mani un lucente faro a mostrare la via della battaglia di Acque Nere. Nel corrispettivo letterario, infatti, grandissima attenzione era stata data alla geniliatà di Tyrion Lannister e all’uso dell’altofuoco, alchemica sostanza controllata dal sinistro piromante Lord Hallyne.
Le aspettative, in questo senso, sono state del tutto attese. Le fiamme verdi che uccidono il figlio di Davos Seaworth e che decimano la flotta di Stannis sono semplicemente spettacolari e lo sgomento sul volto di Tyrion ricorda, in una delicata e forse involontaria citazione, la lacrima di Grima Vermilinguo dinnanzi al rivelato potere distruttivo di Isengard (che Martin abbia un occhio di riguardo per il dolore, è cosa ormai consolidata)
Come se non bastasse, e come era accaduto anche per la precedente stagione, la chiusura è un ennesimo picco di tensione destinato a lasciarci con il fiato sospeso fino a marzo: l’esercito dei bruti, oltre la Barriera, ci mostra come la terra del Nord possa essere magica e mitologica. Giganti, creature dei ghiacci e brutti tutti a comporre un minaccioso esercito in marcia verso il sud di Westeros.
In più, piccola citazione che si rifà al finale di ‘A Dance With Dragons’, vediamo un corvo bianco, enorme e maestoso che, volando dalla cittadella, annuncia l’inizio dell’autunno.
Due parole, ma solo due, le vorrei dedicare alla ricostruzione delle location. Se la Barriera era apparsa da subito convincente mentre Grande Inverno, per certi versi, non rendeva giustizia alla maestosità descritta nei libri l’impatto visivo di Pyke e delle Isole di Ferro è, in una parola, fenomenale.

Perciò, cosa ci aspetta?
Per il momento, forti dell’esperienza letteraria, possiamo dire che la stagione ventura sarà un bello spartiacque narrativo. Molti nodi verrano al pettine e i picchi drammatici di quelli che dovrebbero essere i primi episodi avranno un solido contraltare, o almeno lo spero, nel proseguo della stagione.
Un’occhiata molto veloce al casting della terza stagione vede l’entrata in scena di personaggi inquietanti e fondamentali come Qyburn, il Maestro rinnegato dedito a riti negromantici, e la compagnia di Beric Dondarrion e Thoros di Myr.
Se il battesimo del fuoco con l’avvio del Trono di Spade era stato convincente, la seconda stagione ha consolidato il successo di questa serie, come testimoniano anche le statistiche sugli ascolti.
Con la terza, credo e spero, verrà definitiviamente scritto un capitolo unico nel vasto universo delle serie televisive.
Dopo quest’inverno: l’inverno sta tornando.

Questa recensione/analisi è stata pubblicata integralmente sul numero 18 del Living Force, fanzine del Fan Club Yavin 4.

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