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[Recensioni Libri] – ‘Metro 2033’ di Dmitry Glukhovsky

Tempo di lettura: 3 minuti

VOTO:★★½☆☆

Quando si scrive un romanzo di fantascienza concepire una bella ambientazione vuol dire partire con il piede giusto: permette di sviluppare i personaggi, viene in soccorso all’autore quando questo resta invischiato nella palude della sterilità creativa e crea curiosità nel lettore. Come è successo? Cosa c’era prima? Cosa succederà poi? Perché?
‘Metro 2033’ parte assolutamente con il piede giusto. La Mosca post nucleare nella quale i sopravvissuti all’olocausto atomico sono costretti a vivere nella complessa metro è affascinante. La ristrutturazione dell’immenso e claustrofobico dedalo di tunnel in micro-regni grandi quanto una stazione metropolitana, ciascuno con le proprie regole, è originale. I rapporti di forza tra le ideologie politiche che dalla superficie si sono trasferite sotto terra è attuale, cinico e al tempo stesso visionario. I Tetri, le mutazioni, l’anima oscura della metro sono ottimi spunti pronti a essere impiegati per ottenere il massimo effetto. C’è tanto horror in questo romanzo ed è senza dubbio un bene.
Però. C’è un però. Il protagonista, Artyom, è un giovane nato prima della guerra nucleare. E’ a lui che Glukhovsky incolla il lettore ed è con lui che iniziamo a intraprendere un complesso e a tratti troppo caotico viaggio lungo tutta la metropolitana di Mosca. Ed è qui che iniziano i problemi. Le motivazioni che muovono Artyom sono troppo pretestuose e fataliste così come lo sono alcuni stratagemmi narrativi piazzati qua e là per far succedere determinate cose. Gli equilibri politici e religiosi dell’intera Metro sono demandati a blocchi descritti a volte indigesti che spezzano la tensione narrativa e se anche questo può essere causa della genesi stessa del romanzo (nasce come progetto web lungo tre anni e la sua stesura ha tenuto conto dell’opinione e dei suggerimenti dei lettori del web) finisce con il fare un po’ troppi danni. Alcuni personaggi arrivano al momento giusto e nel posto giusto per poi sparire: uno su tutti Khan.
Ho trovato chiare tracce di un’influenza asimoviana: in ‘Preludio alla Fondazione’ (1988) Hari Seldon si spostava tra i vari settori di Trantor avendo a che fare con tutte le peculiarità politiche e religiose di questi piccoli stati. Così Artyom fronteggia i neofascisti, fanatici religiosi, si trova all’interno della moderna e ricca Polis e così via. L’idea di farci vedere tutta la Metro è buona ma come dicevo è il motore a non convincermi: troppo meccanico. Glukhovsky si riferisce anche a ‘Cuore di Tenebra’ (1902) di Joseph Conrad quando ci mostra i cannibali e la finta religione molto kurtziana che viene loro imposta da studiosi sopravvissuti all’inferno atomico ma anche questo blocco narrativo appare troppo posticcio.
Insomma in ‘Metro 2033’ ci sono tante, forse troppe cose e la conclusione stessa liquida in pochissime pagine tutta l’angosciante (e riuscita) vicenda dei Tetri. Seppure ho apprezzato molto il finale nichilista che Glukhovsky ci propone ammetto che la lettura di ‘Metro 2033’ è stata lunga e faticosa a causa di tutti gli elementi discontinui descritti.
L’ambientazione resta vincente, e lo testimoniano tutti gli spin-off a cui ‘Metro 2033’ ha dato seguito, ma il valore assoluto di questo romanzo per me arriva a una sufficienza risicata.
Adesso sono curioso di incrociare i guantoni con i romanzi di altri autori ispirati a questo universo, primo fra tutti ‘Le Radici del Cielo’ (2011) del nostro Tullio Avoledo.

di Maico Morellini

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