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[Recensioni TV] – ‘Outcast’ – di Robert Kirkman

Tempo di lettura: 3 minuti

VOTO:★★★★½

Se siete appassionati di fumetti, o se siete appassionati di serie televisive horror, il nome di Robert Kirkman farà di certo rintoccare qualche requiem macabro nella vostra testa. Robert ‘Walking Dead’ Kirkman è la brillante mano che si nasconde dietro la fortunatissima serie a fumetti di ‘Walking Dead’ e, quindi, accanto all’altrettanto fortunata trasposizione televisiva degli zombie meno zombie dell’etere. Faccio coming-out: dei ‘morti camminanti’ ho visto solo la prima stagione ma per ‘Outcast’ il nuovo prodotto demoniaco di Kirkman ho deciso di piazzarmi in prima fila.
Come accaduto per ‘Walking Dead’ anche la serie televisiva di ‘Outcast’ nasce dal corrispettivo di celluloide andando a comporre il secondo capitolo di quella che potrebbe diventare una personalissima epica dell’orrore di Kirkman. Dopo gli zombie, passiamo ai demoni.
Perché di questo parla ‘Outcast’. Kyle Barnes (un ammaccato e convincente Patrick Fugit) è un reietto: vive a Rome, lontano dalla società, portando il pesantissimo fardello di una vita tormentata da i demoni. E’ nell’isolamento che ha trovato la pace dal suo personale inferno fino a quando il piccolo Joshua Austin (Gabriel Bateman) non manifesta segni di una nuova possessione. Quando Kyle incontra il reverendo Anderson (Philip Glenister) e lo aiuta nell’esorcismo del piccolo Joshua, sarà poi costretto a confrontarsi con i demoni, nel vero senso del termine, del suo passato. Rome infatti (non credo sia casuale il nome della cittadina in cui è ambientato ‘Outcast’) sembra nascondere molto più di quanto in apparenza ci viene mostrato.
Kirkman decide di attingere all’abusata tematica delle possessioni demoniache per questo sua nuova serie ma lo fa da una parte rifacendosi ai canoni degli esorcismi cinematografici, dall’altra alzando l’asticella di ciò che si può e si vuole far vedere. Il piccolo Joshua è più piccolo del suo corrispettivo femminile, Regan (Linda Blair), ai tempi dell’Esorcista (1973) e viene coinvolto in eventi più disturbanti. L’esorcismo che lo coinvolge, seppure non così tragico nell’epilogo come invece accadeva nel film di Friedkin, ha comunque connotazioni decisamente più violente e i flashback del passato di Kyle non si nascondo dietro la patinata pellicola del politically correct.
Non posso fare a meno di pensare che anche ‘Outcast’, nei modi, debba molto ad American Horror Story e al coraggio che la serie horror per antonomasia ha masso in campo nelle sue cinque stagione. Eppure ‘Outcast’ riesce ad avere una sua marca autonomia. Rome ci viene mostrata come una cittadini di frontiera, un luogo nel quale tutto diventa estremo: il reverendo Anderson tutto sembra meno che un quieto pastore di provincia, la polizia del luogo si districa tra la consapevolezza che ci sono forse oscure in movimento e il tentativo di mantenere salda la presa sulla sicurezza dei cittadini. In soli cinquanta minuti Kirkman tratteggia con ferme pennellate un ecosistema che trasuda inquietudine e corruzione, nel senso più esoterico del termine.
Rome diventa perciò un incrocio tra Twin Peaks, Silent Hill e, perché no, la Derry di Stephen King. Le intenzioni di Kirkman sono chiare, così come le sue ambizioni. Questo primo episodio si propone in modo molto ambizioso e adesso la vera scommessa sarà mantenere le promesse fatte fino a questo momento.
Unico, piccolo neo: a volte si ha l’impressione che regista e sceneggiatore si siano sforzati di disturbare lo spettatore lasciando intuire che dietro la maleodorante melassa di puro male che infesta Rome, ci sono in realtà cineprese, attori e macchinisti. In letteratura direi che il punto di vista del narratore rischia di diventare troppo invadente.
Ma sono pronto, e sarò lieto, di essere sbugiardato con il secondo episodio di ‘Oucast’.
di Maico Morellini

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