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Suspiria di Luca Guadagnino

Tempo di lettura: 3 minuti

Sono entrato in sala fresco di visione dell’originale Suspiria di Dario Argento ma non mi aspettavo che il film di Guadagnino cercasse in nessun modo di ripercorrere i passi dell’originale è così è stato. Se l’impianto di base è più o meno il medesimo (studentessa americana che arriva in Germania per perfezionare le sue doti di ballerina presso una prestigiosa accademia di danza), se le coordinate mistiche hanno la stessa impronta definita da Dario Argento nel suo Suspiria, tutto il resto prende direzioni decisamente differenti.
Questo è un bene o un male? Detto con tutta onestà, non lo so. Che Guadagnino sia una ottimo regista è fuor di dubbio. Che abbia un tocco personale, la mano riconoscibile propria di tutti i grandi autori è cosa altrettanto certa. Eppure questo Suspiria è troppe cose tutte insieme.

La separazione in atti (forse nel cinema citazione un po’ tarantiniana) è simbolo perfetto di una pellicola il cui valore complessivo è inferiore alla somma delle parti. Ho trovato alcune cose molto buone, più di tutte la danza/incantesimo con il quale la giovane Susan catalizza a sua insaputa la magia della congrega e condanna Olga a un morte terribile. Altre cose, per quanto distinguibili, troppo scollegate tra loro: c’è il periodo storico sul quale Guadagnino indugia molto, c’è il senso di colpa, l’amore e ciò che resta dell’amore col passare del tempo.
Ma ci sono anche le streghe, c’è Susan, ci sono la Markos e la Blanc. Suspiria è un opulento e persistente caleidoscopio ma, proprio come nei caleidoscopi, mancano riferimenti e coordinate di base, manca una collante (i Jedi la chiamerebbero Forza) che ‘tenga unite tutte le cose‘ messe in campo da Guadagnino.
Suspiria è elegante e ha una sua grande autonomia. Guadagnino si è ispirato al lavoro di Argento (e prima ancora a quello di Thomas De Quincey) e ha raccontato la sua storia però l’impressione è che, oltre all’assenza di coordinate, abbia voluto comunque omaggiare il film originale. E anche questo diventa l’ennesimo frammento di caleidoscopio che non trova perfetta armonia col resto.
Il Grand Guignol alla fine dell’Atto Sesto esce dal registro dell’intera pellicola aggiungendo altri significati e signficanti alla narrazione, confondendo e dando l’impressione di qualcosa che si voleva dire senza averne il tempo. Ed è un peccato perché il film è molto lungo.
C’è poi, a tratti, una volontà esasperata di raccontare una storia ‘altra’, qualcosa che esuli dalla semplice storia di stregoneria che costituisce il cuore nero di Suspiria. Come un tentativo di fare horror, sì, ma horror di altra maniera. Questo non è necessariamente un male ma forse il legame con il lavoro di Argento ha vincolato quello di Guadagnigno che, in sintesi, voleva raccontare una storia ben diversa.
Quindi Suspiria è un brutto film? Assolutamente no. Come dicevo è elegante, claustrofobico, inquietante e capace di pizzicare corde nascoste, di disegnare un periodo storico forse avvelenato dal potere delle streghe. Ma è anche disarmonico e disorientate: forse, come Davide Pulici ha brillantemente fatto notare su Nocturno, soffre della sindrome di Prometheus: ambizioni molto alte, regia all’altezza, ma scrittura e amalgama non del tutto.

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