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DON DELILLO

Tempo di lettura: 4 minuti
Body Art – Don DeLillo

Ma in questa opera la sua arte è oscura, lenta, difficile e a volte tormentosa. E non è mai il tormento grandioso di nobili immagini e ambienti. È un tormento che ha a che fare con me e con voi.

Quello che inizia come solitaria alterità diventa familiare e addirittura personale. Ha a che fare con chi siamo quando non stiamo recitando chi siamo.

Così De Lillo per bocca della giornalista Mariella Chapman, descrive la performance di body art di Lauren Hartke, la protagonista.

Ma il sospetto – un dubbio che declina di pagina in pagina verso la certezza – è che in realtà DeLillo stia parlando del suo romanzo. E lo faccia per offrirci una sintesi, per tracciare coordinate necessarie, per suggerire la giusta chiave di lettura allo strano viaggio che è Body Art.

Ci sono Lauren e suo marito Rey. C’è una casa estranea, forestiera, e c’è un fantasma. O forse non un fantasma, forse una imitazione di vita che si attorciglia intorno al presente, che cerca di imitare il passato e che vuole sabotare il futuro.

Body Art non è un testo facile, come non sono mai facili i racconti che cercando disperatamente di dire qualcosa senza scendere a patti con la loro urgenza. È onirico, è sconnesso. Confonde e depista. Lauren a volte è abbandonata ai suoi dubbi – che forse diventano i nostri. Rey è involucro impagliato di un uomo che impone solitudine e sofferenza.

Eppure, un capitolo dopo l’altro, c’è qualcosa che resta. Qualcosa di vagamente sgradevole e proprio per questo necessario. Le torsioni meccaniche di Lauren, il suo desiderio di essere senza essere, la ricerca di uno spazio “altro” dentro e fuori dal proprio corpo ci è famigliare. Assomiglia all’assorbimento del dolore, al tentativo di condensare le ombre emotive della perdita al meglio delle nostre limitate possibilità.

Lo puoi trovare qui:


Il Silenzio – Don DeLillo

“L’uomo si chiamava Jim Kripps. Ma per tutte le ore del volo il suo nome coincideva con il numero del posto a sedere. Questa era la prassi consolidata, la sua prassi personale, in conformità con il numero scritto sulla carta d’imbarco.”

Succede qualcosa nel presente tratteggiato da DeLillo. Un evento impensabile, un colossale blackout che annichilisce la tecnologia. Un silenzio, anzi, Il Silenzio. Ed è questo nuovo mondo, è in queste prime ore di un futuro anche solo difficile da concepire, che le nostre debolezze emergono.

Siamo riassunti dal rumore che ci circonda. Siamo numeri che ci vengono assegnati in ogni momento della nostra vita. In aereo, nella sala d’attesa di un medico, nelle aule universitarie.

Siamo sintetizzati dal commento di un evento sportivo. Siamo innestati nella tecnologia chiassosa e indispensabile che ci circonda.

“La faccia di ognuno di noi. Cos’è che vedono gli altri quando camminano per strada e si guardano a vicenda? La stessa cosa che vedo io? Tutte le nostre vite, tutto questo guardare. La gente che guarda. Ma cos’è che vede?”

Sollevare gli occhi. Tendere le orecchie. E scoprire che senza Il Rumore, che con Il Silenzio, anche i nostri pensieri si destrutturano. Succede questo a Jim e Tessa, a Max e Diane e a Martin, professore ossessionato dalle teorie e dagli appunti di Einstein. Parlano tra loro. Si raccontano a turno in una sorta di primitiva e ritrovata forma di comunicazione. Senza televisione, senza smartphone. Il Silenzio viene riempito dallo scricchiolare di menti fragili, dal boato di menti brillanti, dal desiderio di essere ascoltati e forse di ascoltare.

Di capire cosa resta di noi senza i numeri che ci vengono assegnati, senza il Rumore di un mondo veloce.

Il Silenzio è chirurgia. Come assistere a un intervento, a una lobotomia vista dal di dentro. Un’operazione che sottrae per poi, forse, offrire nuove possibilità. Respingente con un taglio di bisturi. Respingente, come le cose necessarie.

Lo puoi trovare qui:

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