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Recensioni libri – ‘Cavie’ di Chuck Palahniuk

Tempo di lettura: 2 minuti

Giudicare un libro di Palahniuk è sempre un po’ complicato perché, almeno per chi vive la scrittura anche dall’altro lato della barricata, c’è sempre e comunque uno stile, una schiettezza, una sincerità che non possono passare inosservate.
‘Cavie’, narrativamente, non è di sicuro il suo miglior romanzo. E’ difficile da seguire perché spezzettato, nelle sue parti ‘vere’, dai tanti racconti degli aspiranti scrittori. E quando il filo della storia viene ripreso, non è così logico, sequenziale e coerente.
In più la sferzante e dissacra lama con la quale Palahniuk disseziona la società americana è un po’ meno affilata del solito. Per questo, e solo per questo, ‘Cavie’ prende solo tre stelle su cinque.
Perchè se dovessimo affrontare la qualità e i contenuti dei racconti che gli aspiranti scrittori del romanzo mettono in campo, sarebbe da cinque stelle.
Sono storie crudeli, terribili, spietate, oscene e difficili da digerire in molte delle loro parti.
In più, e di questo bisogna dare come sempre atto all’autore, queste storie che inizialmente vengono presentate come veri e proprio lavori di fantasia, poi con la progressiva perdita di lucidità dei protagonisti in ciò che accade realmente, diventano quasi biografie degli improbabili attori della storia. Non è un caso che l’intero romanzo sia ambientato in un teatro in disuso dove tutti quanti recitano una parte, assegnatagli dal narratore, con soprannomi improbabili e atteggiamenti altrettanto pittoreschi.
Credo, in sintesi, che la forma scelta da Palahniuk (quindi narrazione, interrotta da poesie e da racconti), penalizzi la qualità complessiva del romanzo. Credo anche però che sia stata una scelta consapevole, nel lucido tentativo di comunicare esattamente il messaggio che intendeva trasmettere.
Che, perfettamente in stile con l’autore, è disturbante.
Di quella deformità che calamita l’attenzione.

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