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[Recensioni Libri] – ‘La macchina del tempo’ di H.G. Wells

Tempo di lettura: 3 minuti

VOTO:★★★★½

In colpevole ritardo ho recuperato uno di questi grandi classici della fantascienza e, come mi era accaduto per L’Isola del Dottor Moreau, sono rimasto semplicemente folgorato dalle mente di Wells. Dalla sua brillantezza, dal suo acume e dalla sua capacità di andar ben oltre la semplice fantascienza.
La storia del romanzo è risaputa: il Viaggiatore del Tempo ospita un gruppo di amici e confida loro di aver costruito una piccola macchina che permette di viaggiare nel tempo. Le prime pagine del libro sono insaporite da una lucida disamina scientifico-filosofica sul tempo, sulle dimensioni dello spazio e sul perché spostarsi tra passato e presente non sia una missione così impossible.
Poi inizia il racconto del Viaggiatore: un lungo e appassionato monologo del personaggio che parla ai suoi commensali. Racconta al lettore del viaggio in un futuro remoto, oltre l’anno ottocentomila, un tempo decadente in cui gli uomini sembrano aver perso ogni loro brillantezza. Sembra aver smarrito il ‘ben dell’intelletto’ dantesco e vivono senza alcuno scopo se non quello di amoreggiare, nutristi e trascorrere le giornate sfuggendo la notte. Ed è proprio durante la notte che il Viaggiatore incontra per la prima volta i Morlock (Morlocchi, nella traduzione italiana), creature sotterranee che accudiscono gli Eloi fornendo loro cibo e vestiti. Salvo, di tanto in tanto, rapirli per usarli come loro sostentamento. Cannibalismo feroce, senza alcun giudizio morale. Il Viaggiatore racconta poi della sua fuga e dell’estremo viaggio verso un futuro ancora più avanzato, attraverso paesaggi tra l’incubo e il sogno.
La cosa sorprendente di Wells è la lucidità con la quale analizza la nuova società da lui stesso teorizzata. La decadenza fisica e mentale degli uomini perché agiati in un modo ormai privo di pericoli, che controllano e dominano. La perdita della parola per la mancanza di necessità, una sorta di involuzione darwiniana che favorisce il prosperare del più debole. E al tempo stesso i Morlock, riflesso impietoso della classe operaia da sempre relegata in un mondo meno brillante, una servitù controllata, una separazione fisica oltre che intellettuale. Un quadro incredibilmente raffinato per un libro scritto nel 1895.
Pensare a un uomo come Wells, abituato a vivere in un tempo in cui le rivoluzioni tecnologiche correvano più veloci di quanto potesse fare la mente di un comune essere umano. Pensare a tutto ciò che stava accadendo intorno a lui, e stupirsi di come le sue intuizioni non si siano mai lasciate sviare dalla luce della scienza e della tecnica, ma abbiano invece scavato e sezionato l’animo umano nelle sue parti più oscure e complesse. Questa è la cifra narrativa impagabile che riconosco a una mente unica come quella di H.G. Wells e mi stupisco ogni volta di come sia stato capace di proiettarsi oltre tutto ciò che lo circondava superando, con la sua fantascienza, anche le più evolute teorie filosofiche.
Vi lascio con uno dei suoi pensieri conclusi, certo che vi stupirete quanto me nel lettere queste sue parole. Scritte, non dimentichiamolo, nel 1895.
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