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CRISTOFORO COLOMBO, DOSTOEVSKIJ E LA SCHWA

Tempo di lettura: 6 minuti

Ok, sto per mettermi nei guai perciò riempirò questo pezzo di premesse perché sto per affrontare tre temi scivolosi e se anche alla fine il mio intento è parlare d’altro, mi rendo conto che usarli come esempio potrebbe aprire le porte di un metaforico (e nemmeno tanto) inferno digitale.

Prima premessa: questa è una riflessione aperta, non ha l’ambizione di dare risposte o giudizi ma di fatto si tratta di un ragionamento che mi ha portato in dote una serie di interrogativi. Interrogativi che condivido nel tentativo di raccogliere risposte o magari di spingere altri a farsi le stesse (o altre) domande. Perché, tra l’altro, credo che oggi sia più interessante farsi domande che dispensare risposte. Prima di entrare nel vivo, tenterò di definire le coordinate del viaggio che mi ha condotto fino a qui.

Nel giugno del 2020 in diverse città nord-americane (Richmond, Minneapolis, Boston, Miami e altre) sono state abbattute statue raffiguranti Cristoforo Colombo. La miccia che ha innescato queste proteste è stata la drammatica morte di George Floyd per mano delle forze di polizia ma l’azione è sintomo di un malessere decisamente più profondo e concreto. Razzismo della società contemporanea, rapporto con i trascorsi coloniali e un’ombra che dal passato si allunga sul presente contribuendo all’emarginazione e alla sofferenza delle persone non-bianche. Si tratta di problemi reali, documentati, veri. Problemi che non sono immaginari. Problemi che hanno un forte impatto sul presente e che hanno portato a una revisione storica dal Columbus Day e dello stesso Cristoforo Colombo. Non scomoderei la Cancel Culture, ma forse anche un po’ sì.

È di pochi giorni fa la ‘censura’ (poi ritrattata) di un intervento di Paolo Nori. Nori doveva parlare di Dostoevskij ma visto cosa sta succedendo in Ucraina la Bicocca ha inizialmente pensato non fosse opportuno parlare di Dostoevskij in quanto autore russo. Questo tentativo di seguire la narrazione si è maldestramente affiancato alle sanzioni economiche internazionali, all’esclusione di squadre sportive russe dalle manifestazioni e anche alla moral suasion nei confronti di personalità culturali. Una persuasione morale che ha come obiettivo la condanna senza se e senza ma della guerra scatenata da Putin: pena l’esclusione dalle attività culturali degli indecisi o dei filo-putiniani. Va da sé che un conto è chiedere a un direttore d’orchestra di prendere una posizione decisa contro la guerra in Ucraina, altro conto è impedire una lezione/dibattito su Dostoevskij, autore che di certo non aveva simpatie nei confronti del potere assoluto. Ma, comunque, il disastroso intervento della Bicocca era comunque mirato ad assecondare un problema reale, concreto e fin troppo contemporaneo.

Da ben più di qualche mese è in corso un dibattito linguistico sulla schwa, cioè un simbolo grammaticale che ha anche un suo corrispettivo nell’alfabeto fonetico internazionale. Un simbolo che è stato individuato come possibile soluzione per risolvere i problemi legati alla binarietà della lingua italiana e al conseguente predominio del maschile al suo interno. L’italiano, come molte altre lingue, non ha strumenti nativi di assoluta inclusività o meglio non ha ancora strumenti di assoluta inclusività ed è oggettiva la prevalenza del maschile anche se negli ultimi anni si sono fatti passi avanti utilizzando sostantivi femminili in maniera più calzante (Deputata, Sindaca, etc). Anche in questo caso la schwa è sintomo di un problema linguistico – e di conseguenza culturale – molto reale, molto sentito e anche molto concreto. Non devo ricordare io la non parità di genere anche solo nel mondo del lavoro, l’arretratezza culturale e tutti l’indotto che da questo deriva.

E quindi, adesso che ho ricapitolato i tre elementi che danno il nome a questo pezzo, in che direzione voglio andare? Seconda premessa: sono convinto che tutti e tre gli esempi che ho citato, che le azioni intraprese in maniera più o meno maldestra, abbiano un grande fondamento. Cioè portano in superficie problemi reali e profondi, dilemmi e storture socio-cultural-linguistiche che MERITANO, senza se e senza ma, di essere affrontate seriamente. Si tratta, insomma, di battaglie legittime.

Le mie perplessità sono tutte legate al metodo e al timore che si insegua un eccesso di presente, si cerchino scorciatoie. Capisco la frustrazione di dover affrontare problemi che affondano le loro radici nel passato remoto e che però hanno un così grande risonanza nel presente ma non sono sicuro l’imposizione, il tentativo di forzare soluzioni rapide, di iniettarle in una società che per costruzione è lenta e refrattaria ai cambiamenti, sia vincente. Non si rischia – uso un termine forte per rendere l’idea – una sorta di isteria cha ha un bassissimo potere di contagio? Un Rt troppo basso per essere significativo. Il caso Dostoevskij è il più rappresentativo dei tre. Mi immagino l’ansia da prestazione alla Bicocca, la necessità di dire qualcosa presto e subito, la percezione di dover mettere una bandierina sulla narrazione del momento. E allor avanti tutta. Ecco: per le mani si sono ritrovati la lezione di Nori su Dostoevskij e allora addosso a quella. Soluzione rapida, non ponderata e del tutto fuori bersaglio.

Un pochino, in forma decisamente minore anche perché i temi sono più antichi, la stessa cosa non vale anche per Cristoforo Colombo e per la schwa? Lo ripeto di nuovo: sono due sintomi di malattie endemiche della società, malattie che però devono essere affrontate e quindi il dibattito non solo è possibile, è anche giusto. Ma davvero è il modo migliore? Davvero una terapia d’urto del genere può essere raccolta? Davvero un innesco così forzato può aiutare a raggiungere l’obiettivo? Distruggere le statue di Colombo cercando di annichilirne la persistenza storica piuttosto che contestualizzare in modo laico la sua figura? Non rischia di essere una scorciatoia in parte anche respingente per chi ha sensibilità più lente a mettersi in moto? Alla stessa maniera pigiare l’acceleratore sulla schwa, provare a buttarla nella mischia calandola dall’alto, imporla persino con un qui e ora, con un qui e subito, con un sotto testo di ‘o con la schwa o contro l’inclusività’ non è deleterio?

La mia preoccupazione è che l’era dell’eterno presente spinga a soluzioni bulimiche, soluzioni che rischiano di immolare temi importantissimi sull’altare di quella polarizzazione tanto cara alla comunicazione contemporanea. Un bianco e nero. Un pro o un contro. Perché tutti vogliamo essere parte di una rivoluzione istantanea. Ma spinti da intenti ben più che meritevoli, non rischiamo di voler piazzare una bandierina frettolosa? Di voler risolvere le evidenti storture della nostra contemporaneità, errori o imperfezioni che perdurano da molto tempo, con un unico, veloce colpo? Accettare la lentezza del cambiamento non è un modo più sicuro, più condiviso, più contagioso per consolidarlo? Non ho risposte ma solo domande.

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