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CHUCK PALAHNIUK

Tempo di lettura: 8 minuti
Cavie – di Chuck Palahniuk

Giudicare un libro di Palahniuk è sempre un po’ complicato perchè, almeno per chi vive la scrittura anche dall’altro lato della barricata, c’è sempre e comunque uno stile, una schiettezza, una sincerità che non possono passare inosservate.
‘Cavie’, narrativamente, non è di sicuro il suo miglior romanzo. E’ difficile da seguire perché spezzettato, nelle sue parti ’vere’, dai tanti racconti degli aspiranti scrittori. E quando il filo della storia viene ripreso, non è così logico, sequenziale e coerente.
In più la sferzante lama con la quale Palahniuk disseziona la società americana è un po’ meno affilata del solito. Per questo, e solo per questo, ‘Cavie’ è meno riuscito di quanto dovrebbe.
Perché se dovessimo affrontare la qualità e i contenuti dei racconti che gli aspiranti scrittori del romanzo mettono in campo, sarebbe da dieci e lode.
Sono storie crudeli, terribili, spietate, oscene e difficili da digerire in molte delle loro parti.
In più, e di questo bisogna dare come sempre atto all’autore, queste storie che inizialmente vengono presentate come veri e proprio lavori di fantasia, poi con la progressiva perdita di lucidità dei protagonisti in ciò che accade realmente, diventano quasi biografie degli improbabili attori della storia. Non è un caso che l’intero romanzo sia ambientato in un teatro in disuso dove tutti quanti recitano una parte, assegnatagli dal narratore, con soprannomi improbabili e atteggiamenti altrettanto pittoreschi.
Credo, in sintesi, che la forma scelta da Palahniuk (quindi narrazione, interrotta da poesie e da racconti), penalizzi la qualità complessiva del romanzo. Credo anche però che sia stata una scelta consapevole, nel lucido tentativo di comunicare esattamente il messaggio che intendeva trasmettere.
Che, perfettamente in stile con l’autore, è disturbante.
Di quella deformità che calamita l’attenzione.

Lo puoi trovare qui:


Rabbia – di Chuck Palahniuk

Quando pensi di esserti abituato allo stile pulp e senza filtro di Palahniuk, ecco che incappi in un suo nuovo esperimento narrativo. Accanto al modo inconfondibile di scrivere che lo contraddistingue, in questo ‘Rabbia’, decide di creare la biografia di Buster ‘Rant’ Casey attraverso una serie di interviste ai suoi amici, nemici, parenti e chi più ne ha più ne metta. Geniale, come sempre. In più denso, densissimo, e con tanti livelli di lettura. Azzarderei persino definendo ‘Rabbia’ quattro libri in uno solo. Vediamoli.

La prima cosa che mi è saltata agli occhi, e che corrisponde al primo libro ‘virtuale’ dei quattro, è stata la somiglianza di Rant con il cinematografico Joker de ‘Il Cavaliere Oscuro’ (Christopher Nolan, 2008). Casey è, almeno nella prima parte del libro, entropia pura. Ovviamente entrambi i personaggi a loro volta si rifanno a concetti più estesi ma non ho potuto fare a meno di vederci una somiglianza molto forte. Per un terzo del libro Rant viene presentato con un individuo eccezionale che coltiva al suo interno il seme del caos. Trasforma la cittadina in cui vive grazie alle sue capacità al limite dell’umano e diventa, a tutti gli effetti, un catalizzatore di Caos. Quest libro nel libro è molto convincente e, a tratti, disturbante come solo Palahniuk sa essere.
Il secondo libro nel libro riguarda il ‘party crushing’. L’esasperazione del ‘Demolition Derby‘ americano che tra le abili mani di Palahniuk diventa una vera e propria scienza, un vero e proprio collettore sociale. Le regole di ingaggio, la filosofia dei party crasher, come questo cambia e ha cambiato la società immaginata dall’autore assomiglia a un vero e proprio trattato di sociologia.
Il terzo libro va a braccetto con il secondo. Estende il concetto di party crushing e disegna una società americana futura dilaniata dalla contrapposizione tra notturni e diurni. Regole ferree per gestire le relazioni e le problematiche economiche. Il party crushing, e la rabbia che dà il titolo al libro si incastrano in modo micidiale, nel rapporto tra diurni e notturni. Catalizzano, esaltano, complicano la difficile relazione tra le due categorie sociali. Un quadro terribile, e, lo ripeterò ma non posso fare diversamente, geniale. Estremizzata, una rivisitazione dei Morlock e degli Eloi di H.G.Wells.
Il quarto e ultimo libro si rifà a una tematica molto complessa, ma attenzione che è uno spoiler forte: i viaggi nel tempo. Paradossalmente, è anche la parte un po’ più debole e cervellotica del romanzo che gli fa perdere, a mio parere, la quinta stella. Buster Casey nel suo iniziale percorso di catalizzatore entropico poi viene relegato al ruolo di spettatore nel complicatissimo principio dei possibili viaggi nel tempo legati al party crushing. Viene richiesto al lettore un sforzo eccessivo ma al tempo stesso è una fortissima prova di coraggio.
Insomma, quattro libri in questo ‘Rabbia’. Ognuno dei quali ha una genialità così intrinseca da stupire anche per il grado di dettaglio e chiarezza. Peccato per qualche sbavatura, come ho scritto.
Ma essere riusciti a gestire tutto attraverso una serie di interviste, a tessere un così chiaro filo conduttore che attraversa le quattro aree tematiche descritte, è una cosa pazzesca.

Lo puoi trovare qui:


Survivo – di Chuck Palahniuk

E’ la mia seconda esperienza letteraria con Palahniuk (la prima è stata ‘Soffocare’) e riconfermo quanto avevo detto sull’assoluta assenza di inibizioni letterarie dell’autore.
Perciò, prima di tutto, è uno scrittore molto coraggioso che fa fluire tutta la sua cattiveria e ogni riflessione che gli passa per la testa attraverso la penna.
Già questo è un merito non da poco e la qualità del romanzo ne guadagna.
Venendo al dettaglio di ‘Survivor’ non c’è dubbio che sia un bel libro. Il protagonista, come mi pare sia in tutti i libri di Palahniuk, è un personaggio decisamente border-line ma, questa volta, non per sua responsabilità.
E’ stato generato per quello che è da un contesto drammatico e terribile e sembra non abbia alcuna via di scampo rispetto al proprio destino. Nessuno di quelli che hanno vissuto la sua esperienza è riuscito a fare meglio di lui perciò, in un pessimismo proprio dell’autore, non c’è redenzione possibile. Ci sono solo tante, tantissime, scelte sbagliate o umanamente negative.
E in questo contesto la società americana che viene dipinta da Palahniuk non è altro che un catalizzatore dell’errore e del ‘sopravvivere morendo’.
Tutto è dipinto attraverso situazioni estreme, allegoriche perfino, che però vanno a scoprire i nervi del ‘male americano’ e li percuotono con forza, fino a trasmettere il dolore a tutti i livelli del tessuto sociale.
In più, salendo a un piano ancora superiore, c’è una sorta di ‘nuova genesi’ del genere umano dove Tender Branson, muovo messia commercializzato dell’era moderna, divinità della tivù via cavo (un richiamo forse alla religione catodica di Videodrome?), simula i miracoli religiosi con un’immacolata concezione di una esecrabile parodia della Sacra Vergine.
Come dicevo, coraggio da vendere.
Insomma, quasi pieni voti. Ma è un romanzo perfetto? Non del tutto. Perché una figura del romanzo, Fertility, pur avendo tanti e vari significati metaforici, mi appare non così amalgamata come dovrebbe nell’economia della narrazione.

Lo puoi trovare qui:


Soffocare – di Chuck Palahniuk

Premetto che questa è stata la mia prima esperienza letteraria con Palahniuk con il quale avevo ‘incrociato i guantoni’ solo attraverso la versione cinematografica di ‘Fight Club‘, che ho adorato.
Il Palahniuk letterario è molto coraggioso, persino troppo. Si vede che ha da tempo deciso di togliere ogni filtro tra quello che pensa e quello che scrive.
Il risultato, almeno in questo ‘Soffocare’ (curiosissimo di vedere la versione cinematografica), è una cattiveria e un tratteggio di personaggi border-line al limite del disturbante.
Mi pare che sia sua caratteristica portare all’eccesso le situazioni che costruisce nelle trame con l’obbiettivo di puntare il dito su piaghe sociali o su dissestamenti emotivi.
Il fatto è che lo fa alla grande e senza quelle autolimitazioni che ogni bravo aspirante scrittore fatica un bel po’ per togliersi di dosso.
Palahniuk fa molta filosofia quando scrive, di quella che si capisce al volo, ma il problema è che apre troppe parentesi e non le chiude tutte.
Tolto questo difetto, è un libro bello tosto. Cattivo e senza riserve, come tutti i libri dovrebbe essere se la storia lo richiede.
Ma stategli alla larga se siete troppo sensibili e se l’anatomia umana vi fa un po’ impressione.

Lo puoi trovare qui:

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