DON DELILLO

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Body Art – Don DeLillo

Ma in questa opera la sua arte è oscura, lenta, difficile e a volte tormentosa. E non è mai il tormento grandioso di nobili immagini e ambienti. È un tormento che ha a che fare con me e con voi.

Quello che inizia come solitaria alterità diventa familiare e addirittura personale. Ha a che fare con chi siamo quando non stiamo recitando chi siamo.

Così De Lillo per bocca della giornalista Mariella Chapman, descrive la performance di body art di Lauren Hartke, la protagonista.

Ma il sospetto – un dubbio che declina di pagina in pagina verso la certezza – è che in realtà DeLillo stia parlando del suo romanzo. E lo faccia per offrirci una sintesi, per tracciare coordinate necessarie, per suggerire la giusta chiave di lettura allo strano viaggio che è Body Art.

Ci sono Lauren e suo marito Rey. C’è una casa estranea, forestiera, e c’è un fantasma. O forse non un fantasma, forse una imitazione di vita che si attorciglia intorno al presente, che cerca di imitare il passato e che vuole sabotare il futuro.

Body Art non è un testo facile, come non sono mai facili i racconti che cercando disperatamente di dire qualcosa senza scendere a patti con la loro urgenza. È onirico, è sconnesso. Confonde e depista. Lauren a volte è abbandonata ai suoi dubbi – che forse diventano i nostri. Rey è involucro impagliato di un uomo che impone solitudine e sofferenza.

Eppure, un capitolo dopo l’altro, c’è qualcosa che resta. Qualcosa di vagamente sgradevole e proprio per questo necessario. Le torsioni meccaniche di Lauren, il suo desiderio di essere senza essere, la ricerca di uno spazio “altro” dentro e fuori dal proprio corpo ci è famigliare. Assomiglia all’assorbimento del dolore, al tentativo di condensare le ombre emotive della perdita al meglio delle nostre limitate possibilità.

Lo puoi trovare qui:

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