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[Recensioni film] – ‘It Follows’ di David Robert Mitchell

Tempo di lettura: 4 minuti

VOTO:★★★★½

Ci sono voluti due anni ma finalmente ‘It Follows’, l’horror prodotto, scritto e diretto da David Robert Mitchell è arrivato anche nelle sale italiane. E ha lasciato il segno. Che sia l’ulteriore prova di una ripresa del cinema horror americano dopo anni di oscurantismo? Poco importa, la realtà dei fatti è che ‘IT Follows’ è un ottimo film ‘de paura’ (citando Rocco Smitherson).
Jay, diciannove anni, è una bella e giovane ragazza americana che vive insieme alla sorella minore e a una madre alcolizzata. Una sera, complici baci in riva al mare, si concede una scappatella in camporella e da lì le cose iniziano a prendere una brutta piega. Hugh (Jake Weary), il suo ragazzo, dopo aver fatto sesso la droga, la lega e le fa alcune confessioni deliranti. Qualcosa lo sta seguendo per ucciderlo, un’entità che solo lui è in grado di vedere ma che facendo sesso ha trasmesso a lei. Un’entità che assume la forma di persone diverse con un’unica caratteristica: seguono la preda, camminando lenti, senza mai fermarsi. Zombie spettrali il cui unico scopo è uccidere. L’unica cosa che può fare Jay è fare sesso a suo volta cercando di allontanare IT e di trasmetterlo a qualcun altro. “Tu sei una ragazza, per te sarà più facile” le confida Hugh.
Se fossimo nel pieno degli anni ’90 sarebbe facile assimilare questa strana maledizione che si trasmette con il sesso all’AIDS, una sorta di articolata pubblicità progresso con entità in carne e ossa al posto della famosa aura viola degli spot.
Una delle tante incarnazioni di IT
Ma non siamo negli anni ’90 e l’AIDS è un flagello di cui nessuno parla più. Perciò cosa vuole dirci David Robert Mitchell utilizzando questa forte metafora?
Tutto o forse niente. Il sesso è salvezza o dannazione? E’ un veicolo di morte o un modo per proteggersi? In realtà non importa e questa ambiguità sdogana il film dall’essere un veicolo morale, dall’attribuirsi ambizioni culturali che non ha.
IT Follows è una pellicola sperimentale sotto diversi aspetti. Dalla scelta del regista di non inquadrare quasi mai il volto degli adulti, come per renderli estranei a quando sta accadendo, incapaci di interagire con il mondo sessocentrico dei ragazzi. Alla decisione di immergere lo spettatore negli ambienti mostrati nel film: alcune carrellate a 360° ci precipitano nell’ambiente neutro ma inquietante in cui si muove il film. Per concludere con la scelta di utilizzare una colonna sonora che richiama, in molte parti, gli horror anni ’80.
Dunque ‘IT Follows’ è un film che racconta ‘solo’ una storia dell’orrore?
No. Perchè le sperimentazioni di Mitchell hanno un preciso scopo. L’IT che insegue i ragazzi è una sofisticata metafora dell’essere adulti. Dell’invecchiare. Del precipitare in un mondo di problemi irrisolvibili: l’alcolismo della madre di Jay, l’assenza della madre di Greg (Daniel Zovatto) e la totale neutralità della madre di Hugh.
I protagonisti quindi cercano di sfuggire alla maturità e paradossalmente l’unico modo per farlo è abbracciarla attraverso il sesso. Ecco perchè Jay durante una delle sue prime fughe da IT si rifugia in un parco, sull’altalena, cercando di tornare bambina: sa che lì potrebbe essere al sicuro. In un passato nel quale crescere non era nemmeno un’opzione valutabile IT non può seguirla. Ma è un’illusione che dura ben poco.
Certo il film non è privo di difetti, come lo stesso Tarantino ci ha tenuto a sottolineare in una sua intervista non richiesta, l’ecosistema immaginato da Mitchell si concede qualche piccola licenza ma si tratta di peccati periferici, che non intaccano la forza centrale del film.
Riassumendo IT Follows è un ottimo film horror, intelligente e non scontato. Capace di mettere in campo buonissimi personaggi, Yara (Olivia Luccardi) e la sua mania per i testi filosofici è una nota di colore secondo me azzeccatissima, e con alla base concetti molto interessanti.
Se due indizi fanno una prova, Mitchell insieme a Derrickson (a cui perdoniamo lo scivolone di ‘Liberaci dal Male’) potrebbero rilanciare il cinema americano che da troppo tempo si è localizzato nella periferia dell’horror.
di Maico Morellini

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