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Recensioni – ‘Il Trono di Spade’ – Terza Stagione (aspettando la quarta)

Tempo di lettura: 4 minuti

VOTO: ★★★★☆

Le ferite  inflitte agli appassionati dal nono episodio della Terza Stagione stanno inziando a rimarginarsi solo ora e sul web iniziano a comparire i volti dei nuovi personaggi pronti a entrare in scena nella Quarta: quale momento migliore per fare un bilancio sulla stagione conclusasi questa primavera?
Giochiamo a carte scoperte: la Terza Stagione non è al livello delle due precedenti. La narrazione spedita, l’equilibrio tra tutte le trame narrate, la capacità di confezionare episodi intensi anche quando si lasciavano dialogare i personaggi (per esempio le sfide verbali tra Petyr ‘Baelish’ Ditocorto e Lord Varys) sono, purtroppo, un ricordo (o quasi). Tutto l’impianto che aveva reso le prime due stagione perfette, qui inizia a scricchiolare mostrando debolezze strutturali che, spero, non arriveranno a far crollare l’intero castello.
E la cosa, dal mio punto di vista, è molto allarmante. Perché? Presto detto.
A differenza di quanto era stato fatto in precedenza qui gli sceneggiatori si sono affrancati dallo scadenziario temporale suggerito dai romanzi a cui le serie fanno riferimento, e hanno deciso di prendersela più comoda. La Terza Stagione finisce, più o meno, a due terzi del romanzo corrispettivo (versione americana).
Questo non è un male, anzi. Sapere le intenzioni di Martin grazie ai romanzi successivi è una ricchezza enorme che può e deve essere spesa al meglio (come, in parte, è anche già stato fatto). Sfruttarla in modo sommario e poco efficace, per contro, è un peccato mortale.
Questo è il maggior difetto della Terza Stagione: una lentezza e un squilibrio complessivo che finiscono con l’annacquare tutto e tutti. Un esempio? Mance Rayder, il Re Oltre la Barriera, un Guardiano della Notte traditore di cui tutti parlano e che tutti temono, un personaggio costruito in modo magistrale e con un potenziale immenso (tra l’altro affidate alle abilissime, per quanto troppo datate, mani di Ciaràn Hinds) che trova spazio solo in due puntate e per un tempo risicatissimo.
Sceneggiatori e regista si presentano a tutti gli appuntamenti che Martin aveva preso per loro nella sua versione letteraria ma, forti degli obiettivi raggiunti e troppo rilassati per lo spazio che hanno deciso di prendersi, ne onorano come dovrebbero troppo pochi.
La parte di Danaerys procede a strattoni e manca di quel sense of wonder a cui ci avevano abituato e la crescita dei draghi, evento più che epico, viene data troppo per scontata. Attenzione: non sto paragonando la versione televisiva a quella letteraria (o quantomeno cerco di non farlo) ma rilevo, a mia sindacabilissima opinione, dove gli sceneggiatori hanno toppato.
Il risultato è un generale senso di privazione che lascia l’amaro in bocca alla fine di troppe puntate. Perché poi, per contro, quando decidono di premere sull’acceleratore ci riescono e questo fa ancora più rabbia.
Tutto quello che riguarda Ramsay ‘Ragazzo’ Bolton e lo sfortunato Theon ‘Reek’ Greyjoy è un condensato di coraggiosa crudeltà che, oltre a far rabbrividire, lancia chiarissimi segnali rispetto a chi, in realtà, potrebbe essere Roose Bolton: alfiere di Robb Stark, Lord di Forte Terrore nonché uno dei personaggi più ambigui dell’intera serie (letterariamente Roose raggiungerà il suo apice nel quinto romanzo americano).
Le ultime due puntate, poi (e però), finiscono con il salvare la serie e questo da un lato entusiasma, dall’altro fa molto arrabbiare perché gettano l’ombra del ‘what if’ su tutte le precedenti evidenziando che le performance zoppicanti non sono una questione di capacità bensì di pigrizia.
‘Le piogge di Castamere’, nono episodio della serie, è un gioiello splendente incastonato su una corona impoverita dalla ruggine. Non solo per il titolo, che richiama in modo spietato la terribile storia raccontata da Cersei sulla distruzione dei Rayne di Castamere, casata che si oppose a Lord Tywin Lannister, ma anche per il tratto asciutto e graffiato che lo contraddistingue.
Questa è l’essenza dell’intera serie. La rotta che non dovrebbero mai abbandonare gli sceneggiatori. Perché quando la seguono, e per esempio nel caso di Stannis e di tutto quello che lo riguarda lo hanno fatto, ottengono situazioni e personaggi credibili, fluidi e carismatici. Quando invece indugiano, vittime del tempo in più che si sono concessi, ecco che iniziano i problemi.
Concludendo: il prodotto complessivo può e deve essere salvato. Siamo al cospetto di una serie televisiva straordinaria il cui valore non viene messo in discussione per una stagione sfortunata ma gli sceneggiatori devono stare attenti. Li aspetta un rimaneggiamento dei tempi narrativi notevole, visto che per le prossime stagioni mescoleranno l’ordine dei libri in favore dell’ordine cronologico degli eventi, ma non vorrei che questa perdita di bussola concettuale accentui i difetti fin qui evidenziati.
Perché, in quel caso, l’inverno arriverà sugli ascolti.

di Maico Morellini

Immagine presa da: http://www.allthatsepic.com/

Questo pezzo è stato pubblicata integralmente sul Living Force, fanzine del Fan Club Yavin 4.

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