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Tempo di lettura: 4 minuti

Questa mattina ho aperto gli occhi. Ho aperto gli occhi e li ho affidati alla parete su cui, sfocato dalla miopia, c’era quel numero proiettato dalla sveglia. 7:17. 717. Un numero, e il suo contrario, che finiscono con l’essere uguali. È esattamente come mi sento io.

Oggi è il 6 maggio e da due giorni l’Italia sta tendando una via per la normalità. Riaperture più o meno timide, per qualcuno ritorno sui posti di lavoro full-time, per altri rientro alternato con lo smart-working per altri ancora recupero di qualche libertà (in potenza) in più, ma lavoro ancora da casa. Con questa ripartenza, con il ritorno alla nuova realtà, emergono situazioni che sanno essere il contrario di sé pur essendo uguali.

Fino a domenica tutto il paese, salvo un’irrisoria percentuale di fuorilegge, si è comportato in maniera esemplare. Regole rispettate, file ai supermercati in ordine, fermi in casa in attesa che le cose migliorassero. Una comunione difficile ma anche molto bella, perché condividere qualcosa di così assurdo e reale ha, lo posso dire e ci credo nel dirlo, tirato fuori il meglio della maggior parte di noi. Da due giorni a questa parte la pressione psicologia si è alleggerita, l’assuefazione ha fatto il resto e adesso mi trovo sospeso qui, tra il tutto e il contrario il tutto.

Perché laddove prima c’erano leggi (non le discuto, non l’ho mai fatto e mai lo farò) adesso subentrano le percezioni e le sensibilità personali. Percezioni e sensibilità, va detto, geneticamente trasformate da tutto ciò che abbiamo visto (o sentito) succedere dal 21 febbraio in poi. Percezioni e sensibilità che sono mutate con il passare del tempo, con lo stillicidio serale dei ‘numeri della pandemia’, con il terribile corteo di Bergamo, con la malattia (o la morte) di persone più o meno vicine, con la danza dei virologi, con la semantica degli ‘affetti stabili’. Ho citato solo cinque catalizzatori di questa mutazione ma ciascuno di noi ne potrebbe elencare molti, molti di più. Perché il lockdown è stato, ed è, prima di tutto, un’esperienza molto personale che ciascuno di noi ha vissuto a modo suo e dal quale, che se ne renda conto o meno, è uscito cambiato.

Tutto e il contrario di tutto perché se fino a poco fa ci accomunava la quarantena, la chiusura, lo stare lontani ma vicini, adesso questo (orribile) comune denominatore è venuto a mancare. E allora ci si guarda intorno. Ci si guarda intorno e ci si sente più vicini o più distanti, iniziano a emergere le differenze nel gestire qualcosa che è ben lontano dall’essere finito ma che, proprio per l’inizio di questa nuova realtà, può venire percepito come concluso, almeno in una sua fase. Come diverso. Un tratto di penna, due parole – fine lockdown – hanno creato delle distanze. In questo contesto binario di 0 e 1, non fattuale ma teorico, come si può trasmettere il proprio grigio, decimale, percentuale, punto di vista? Come si può comunicare ciò che si sente quando ciò che si sente attinge da un’intimità che non può e non ha precedenti, costruita e basata sulle incertezze di un oggi che è oggi da più di due mesi?

La distanza aveva unito e adesso la vicinanza allontana. Tutto il contrario di tutto. Perché ciascuno si difende come può. Perché chi si ostina a continuare un lockdown 2.0, quasi uguale nella propria percezione, di poco diverso, adesso può sembrare non più giustificato, diventa ‘preoccupato senza motivo’, diventano sensibilità personali, diventano guanti e mascherina che risolvono ogni cosa. Diventa un forzarsi che può diventare routine e la routine, si sa, fa a pugni con le cose straordinarie o le attenzioni particolari.

Qualcuno non ci riesce, però. Qualcuno è sospeso in quelle 7:17, in quel numero contrario ma uguale a sé stesso. E spiegarlo è difficile. Perché intorno, tanti (non tutti), hanno alleggerito l’equazione emotiva abbracciando paletti di sicurezza, di normalità, di routine. Impugnando certezze (vere? false?) che non lo possono essere ma che lo diventano. Per chi quelle certezze non le sa vedere essere più vicini ha allungato le distanze.

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1 Comment

  • Steffy
    Posted 6 Maggio 2020 at 17:30

    Introspezione. Necessaria, difficile, personale. Improvvisamente c’è stato il tempo di guardarsi dentro. Tutti, qualcuno, tanti? Ma tutti in balia di una invisibile minaccia al nostro vivere e modo di vivere. Cambiamento. Necessario, difficile, più che personale. Se serviva una conferma, ora è alla portata di tutti, ma qualcosa mi dice che quello che è successo non sarà sufficiente.

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