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THE MIDNIGHT SKY, CUB, FATMAN: IL PRESENTE CHE NON VA

Tempo di lettura: 7 minuti

Lo scorso week-end ho visto questi tre film, tre pellicole che scelgono un genere più o meno esplicito per affrontare temi che poi superano i confini canonici di quello stesso genere. Dal mio punto di vista, questo è uno degli obiettivi da imporsi quando si fa cinema. Ma qual è il fil rouge che le unisce, quale è il tema comune? Il presente. Un presente ammaccato fatto di ossessività, di desiderio di normalità e di cinismo. Come sempre faccio, mi concentrerò sulle cose che mi sono piaciute e che ho trovato interessanti.


Midnight Sky – di George Clooney – Copyright: George Clooney, Bard Dorros, Grant Heslov. Keith Redmon, Cliff Roberts

La Terra sta morendo, condannata da un male non ben definito che spinge gli uomini alla ricerca di una nuova casa da abitare.

Anche Augustine Lofthouse (George Clooney) sta morendo: il padre della moderna era spaziale decide però di restare nella sua stazione scientifica al Polo Nord per continuare ad aiutare, in qualche modo, i pionieri spaziali impegnati ai confini del Sistema Solare, nella fattispecie la missione Aether su cui è imbarcata Sully (Felicity Jones).

Clooney si avvicina in punta di piedi alla fantascienza e lo fa su Netflix raccogliendo le suggestioni che più lo hanno affascinato per poi proporle al pubblico. Il film è tratto dal romanzo ‘La distanza tra le stelle’ di Lily Brooks-Dalton ma io ci vedo anche un debito (o un omaggio) emotivo verso Interstellar (2014). Sia nel punto di partenza, con una Terra morente e sfregiata da imprecisate tempeste radioattive, sia nel corpo centrale del viaggio, cioè quello dell’amore, della perdita, della redenzione, della famiglia. E forse Clooney ripensa anche al Gravity (2013) di Alfonso Cuarón e ad alcune delle sue parti più riuscite. Di fatto, al netto di suggestioni visive secondo me interessanti (il futuro immaginato da Clooney è debitore della stampa 3d e ha un’estetica molto affascinante), la storia che il regista vuole raccontare usa la fantascienza come pretesto. E ricalca i rischi e le grandezze dell’ossessione, di come questi possano determinare una vita trasformandola in una non-vita (tema molto caro alla contemporaneità, lo si ritrova in Soul di Pete Docter e anche in Yesterday di Danny Boyle), e di come alla fine si cerchi comunque la redenzione rispetto a tutto ciò che si è sacrificato nella ricerca di quell’ossessione.

L’affresco che Clooney offre è malinconico, romantico e pregno di un grande messaggio di speranza. Il messaggio di fondo di una vita sbagliata, dell’inseguire qualcosa che alla fine ci ha lasciati irrimediabilmente soli vale anche per Augustine Lofthouse che stava cercando di salvare l’umanità ma che per questo non avrebbe dovuto rinunciare a tutto il resto. Togliete la fantascienza, togliete la Terra morente, togliete il viaggio nello spazio: quante persone vivono una solitaria ricerca ossessiva di qualcosa senza dover affrontare temi grandi e distruttivi come quelli offerti da Clooney?


CUB Piccole Prede – di Jonas Govaerts – Copyright: Peter De Maegd

Produzione belga del 2014 per un horror che ha il sapore degli anni ’80, a testimoniare – qualora ce ne fosse bisogno . che le suggestioni di quel periodo sono tutto meno che esaurite. Disponibile su Sky.

Un gruppo di giovanissimi scout parte per trascorrere qualche giorno ai margini di una foresta, tra tende, pranzi al sacco e giochi all’aria aperta. Ovviamente uno spiacevole disguido li spinge ad abbandonare la via maestra e li costringe ad addentrarsi nel tormentato terreno di caccia di un efferato assassino e del suo giovane e animalesco aiutante.

L’incipit non è dei più originali e a dirla tutta nemmeno lo svolgimento. Ma cosa distingue CUB (Piccole Prede è lo straziante sottotitolo aggiunto qui in Italia) da un normale survival horror adolescenziale? Il fatto che Jonas Govaerts, il regista, si concentra sui tormenti del giovane Sam (Maurice Luijten), sulla sua difficoltà a socializzare, sul suo cercare di essere come tutti gli altri e sulla sua spinta emotiva verso Kai, il ragazzino licantropo, lo spauracchio che i capi scout inventano per terrorizzare i piccoli lupetti. Govaerts poi gioca con gli archetipi del genere: il malvivente, il poliziotto non proprio in gamba, qualche twist temporale, la bionda e il bullo.

Ma al centro di tutto lascia Sam, la sua irrisolta infanzia, la solitudine e la convinzione che per far nascere un mostro occorre ucciderne un altro. Di più: forse non c’è posto per i deboli? Forse l’unico modo è cercare una propria metamorfosi, una luna piena personale che ci trasformi, finalmente adatti e capaci di stare al passo con il presente? Govaerts dimostra anche un certo coraggio e personalmente trovo sempre affascinante l’approccio horror nelle produzioni europee e al ricerca di un’identità che affranchi dagli abusi di un certo cinema americano.


Fatman – di Ian e Eshon Nelms – Copyright: Todd Courtney, Nadine de Barros ,Brandon James, Michelle Lang, Robert Menzies, Lisa Wolofsky

Film del 2020 disponibile su Sky nel quale Mel Gibson veste i panni di un improbabile Babbo Natale (il Fatman) che si trova alle prese con un sicario assoldato da Billy (Chance Hurstfield), bambino ricco e viziato che si avvale di un killer (Walton Goggins) per le sue meschine rivalse.

Il film è tante cose senza esserne mai davvero nessuna: è una commedia nera (ci sono sangue e uccisioni), è un film di Natale (ma con troppo sangue e troppe uccisioni), è un film sulla famiglia (sempre troppo sangue) ed è un film sull’amore (ma con il sangue). Le coordinate disorientano, lo rendono a tratti grottesco e proprio questa è la cifra più interessante nel lavoro di Ian e Eshon Nelms, il quid che rende il Babbo Natale di Gibson eccentrico, sopra le righe, ma al tempo stesso affascinante. Un vecchio coriaceo che deve firmare contratti con l’esercito americano per riuscire a sfamare tutti i suoi aiutanti, che ha a che fare con un mondo in continuo peggioramento.

I Nelms disseminano la loro storia con suggestioni che si insinuano sotto pelle trasformando la commedia nera del ‘Fatman’, il grassone natalizio, in un’amara riflessione sul presente. Babbo Natale è costretto a schivare i proiettili dei padroni di casa yankee armati fino ai denti, ha a che fare con bambini che assoldano sicari perché non hanno ricevuto il regalo che volevano ed è costretto a reinventarsi per stare al passo con i tempi. Porta cicatrici e ferite nella strenua difesa del Natale. “È venuto il momento di prendere l’iniziativa” dice. E la sua è una sentenza cinica, annacquata nel sangue che il sicario sparge, resa meno crudele dal clima natalizio e dall’ironia nera del film. Ma, di certo, Fatman non ha tutti i torti.

Se il Babbo Natale malvagio non è una novità (il Rare Exports di qualche hanno fa ne è un brillante esempio), il Fatman di Mel Gibson a suo modo sì.


In conclusione tre film di genere con punti di partenza canonici che poi intraprendono sentieri diversi e che usano il pretesto della fantascienza, dell’horror e del Natale per offrire un loro punto di vista sul presente. In tutti e tre i casi, aggiungo, il presente ne esce con le ossa ammaccate.

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