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[Recensioni Film] – ‘The War – Il Pianeta delle Scimmie’ di Matt Reeves

Tempo di lettura: 4 minuti

VOTO:★★★★☆

Dopo un primo capitolo interessante, dopo un secondo film dalla produzione molto complicata e decisamente meno riuscito, Matt Reeves suggella i suoi due terzi di trilogia scimmiesca con una pellicola (so che non esistono più le pellicole, ma vintage sono e vintage rimango) strana, coraggiosa, interessante e anomala.
Sono passati quindici anni dagli eventi narrati in Apes Revolution e Cesare (Andy Serkis) ha consolidato la sua nazione di scimmie rifugiandosi, con il popolo di primati, nella foresta. Ma la guerra iniziata da Koba ha reso la pace un sogno irrealizzabile, soprattutto dopo l’ascesa dal potere dello psicopatico colonnello McCullough (un Woody Harrelson bello carico che mi ha ricordato quello di ‘Natural Born Killers‘). A seguito dello scontro iniziale con atmosfere che strizzano l’occhio a Predator inizia il viaggio di Cesare verso la vendetta, una sua umanizzazione che se da un lato non è originalissima, dall’altro viene sviluppata in modo molto interessante.
The War stupisce, per più di un motivo. Prima di tutto le parti di azione sono centellinate e usate in modo molto saggio. Reeves non ci vuole e non ci deve convincere: le scimmie sono potenti, minacciose, intelligenti, questo è un dato di fatto. Non avrebbe alcun senso spendere minuti preziosi per mostrarle impegnate in combattimento quando ci sono cose più importanti su cui concentrarsi. Dal punto di vista tecnico, il più grande successo del regista è quello di farci dimenticare che stiamo guardando creature realizzate per quattro quinti al computer: le scimmie diventano protagonisti in tutto e per tutto.
La scrittura convince: avere attori che non recitano ma che parlano attraverso i gesti, con i sottotitoli, ha costretto gli sceneggiatori a condensare in poche parole la complessità di un personaggio come Maurice (Karin Konoval). Sue sono le ‘battute’ migliori, così come è Maurice a farsi carico della purezza delle scimmie. Tanto Cesare viene consumato dalla stessa rabbia di Koba, tanto Maurice gli ricorda che lui è diverso, che le scimmie sono diverse dagli uomini.

Maurice Pianeta delle Scimmie
Poi c’è uno strano personaggio, tanto rischioso quanto riuscito: Scimmia Cattiva (Steve Zhan). Perché rischioso? Poteva essere una componente destabilizzante nell’economia comunque drammatica del film. Poteva essere un Jar Jar Binks, qualcosa che cercava di avere un senso ma finiva con l’essere paludato di grottesco e ridicolo. E invece Scimmia Cattiva alleggerisce quando serve, e lo fa nel modo giusto.
Ci sono rimandi alla mitologia classica del Pianete delle Scimmie, ma si tratta di omaggi intelligenti, di richiami visivi, estetici e a volte concettuali. E poi c’è un messaggio di fondo forte: gli uomini, in The War, sono malvagi. Tutti. A differenza di Apes Revolution i sopravvissuti sono fuori da ogni possibile redenzione, ciò che resta della razza umana, forte delle sue tecnologie, è un attaccamento genetico alla guerra, al conflitto, alla sopravvivenza del più forte. Una non accettazione di ciò che sta succedendo, un rifiuto assoluto veicolato dalla violenza. Non solo. Le scimmie ‘Donkey’, i traditori fedeli alla pazzia di Koba, si mischiano agli uomini proprio perché sono simili a loro: rinnegare la propria razza è un difetto tutto umano.  Gli unici esseri umani positivi sono quelli colpiti dalla mutazione del virus Simian. Quelli più ‘primitivi’, a detta di McCullough. Incarnati dalla bambina Nova (Amiah Miller), rappresentano una purezza perduta e desiderano essere parte di una comunità nella quale l’unione fa davvero la forza. “Sono una scimmia?” chiede Nova a Maurice. E lui, confermandosi nella vera rappresentazione etica della nuova razza di primati, le risponde:”Tu sei Nova”. Non esistono razze, solo determinazioni del singolo, unite insieme a formare un tutto superiore alla somma delle parti.
La sentenza di Reeves è impietosa, seppure nascosta tra le articolate pieghe narrative del film: l’uomo è destinato a soccombere. A sé stesso, alle sue costruzioni mentali, alla cieca fede nella superiorità antropomorfa e alla convinzione che tutto ciò che ha costruito è quanto lo definisce. Un compiacimento che porta McCullough e i suoi simili, noi, alla distruzione.

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