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Jaume Balaguerò, maestro catalano dell’horror

Tempo di lettura: 8 minuti

Da un po’ da tempo a questa parte, e nei prossimi mesi ne troverete sempre più traccia su questo sito, mi vado convincendo che il cinema horror sta subendo un’interessante evoluzione. Rimando un’analisi dettagliata a uno dei prossimi pezzi, per il momento vorrei presentarvi, se già non lo conoscente, un rappresentante della nuova schiera di registi horror.

Tra una sangria, un po’ di crema catalana e qualche assaggio di paella incontriamo Jaume Balaguerò, classe 1968, nato a Lleida.
Qualche corto, un documentario e poi al suo arco, come frecce, tre pellicole horror: nell’ordine Nameless (1999), Darkness(2002) e Fragile(2005). Poi, in quella che si può definire ‘seconda fase artistica’ la coppia [Rec] (2007) e [Rec] 2 (2009) prima di un cambio di genere con il prossimo ‘Sleep Tight’.
Chiariamoci subito le idee. L’horror di Balaguerò non è un horror facile. E per quanto le storie dei film siano differenti ci sono evidenti fili conduttori delle sue trame, soprattutto per quanto riguarda i primi tre film (ma, come vedremo, con alcuni richiami anche in [Rec] e [Rec] 2).
Primo di tutti, il male e la sua ricerca. E in seconda battuta, in netta antitesi con questo, i bambini. Un’interazione molto particolare tra la materia più oscura dell’animo umano e quella che invece illumina il meglio di noi. E il mescolarsi delle due cose: una diventa catalizzatore dell’altra. Percorso indispensabile per il raggiungimento del male, quindi, è che sia attraverso i bambini.
Questa dicotomia quasi filosofico/horrorifica è sempre presente nei suoi film, ma va via via scemando tra un titolo e l’altro, mantenendo i due elementi ma mescolandoli in modo un po’ differente.

Nameless, dei tre, è il titolo decisamente più difficile. La trama ruota intorno al ritrovamento del corpo mutilato di una bambina di cinque anni, riconosciuto come il corpo della figlia di Claudia, la protagonista del film.
Cinque anni dopo Claudia, ormai divorziata, riceve una telefonata da quella che le sembra la figlia: ingaggia perciò un detective insieme al quale avvia le indagini per ritrovarla. Il film ci conduce, attraverso un crescendo di atmosfera che però non si fa mai tesa come nella consueta tradizione horror, tra le pieghe di un male nascosto. Entra in gioco una setta misteriosa il cui scopo è il raggiungimento del ‘male assoluto’. Memorabile il confronto tra Claudia e Santorini, guru spirituale ora incarcerato di questo gruppo dedito al male. Il cast, pur non essendo composto da grossi nomi, è stupendamente reale. Via via siamo accompagnati in questa oscura realtà dentro la realtà dove la determinazione della madre cerca di fare luce.
E il finale, nella sua genialità, sorprende.
Avvertenza per i lettori, lo sto per spoilerare in maniera spietata.
La madre, nelle sue ricerche, incontra finalmente la figlia. Le due si trovano e si abbracciano dopo cinque anni di separazione.
Ma la figlia divenuta in tutto quel tempo, tra torture e indottrinamenti mentali, lo scopo della setta decide di togliersi la vita davanti alla madre.
Il male assoluto, quindi, è un figlio che si uccide davanti al genitore dopo aver riacceso una speranza creduta morta per cinque anni.
Come si diceva, il male viene raggiungo tramite le creature più innocenti. E gli adulti, in tutto questo, sono strumenti (e vittime) del male per far si che questo, nel suo flusso distruttivo, travolga e si potenzi attraverso i bambini.

Darkness arriva dopo tre anni. Le tematiche si semplificano un po’, la costruzione del film si allinea di più agli standard dell’horror, ma lo scheletro, il bene e il male, non cambia.
Qui l’impianto è più canonico. Una famiglia arriva in una casa di provincia che si rivela essere posseduta, in qualche forma, da qualcosa di malvagio. Un rituale, compiuto molti anni prima da una setta che di nuovo adora il male assoluto, l’oscurità, è coinvolto negli strani eventi della casa. Eventi che hanno a che fare con il figlio di questa famiglia, e con altri ‘bambini ombre’ che, violentemente, vogliono rivelare qualche segreto.
La cosa che sorprende è la capacità di Balaguerò di creare atmosfera pur senza mostrarci nulla. Ci sono, certamente, le ‘solite’ scene di ombre che si muovo all’improvviso. Ma l’introspezione dei personaggi, il lavoro sui loro comportamenti, e l’incastro con fotografia, trame e interazioni fanno sì che tutto contribuisca a un crescendo costante e calcolato di tensione.
Non vi parlerò del finale di questa pellicola, perché sarebbe un delitto. Certo è che, come nei racconti di Poe, tutto accelera vertiginosamente. E questo è un grande pregio. La preparazione di ciò che verrà, con alcune anticipazioni, occupa due terzi del film. Ma sul finale, Balaguerò, preme sull’acceleratore senza più calare.
Anche qui il cast appare azzeccato. Anna Paquin (Rouge degli X-Men per intenderci) è ben più brava che nell’ultimo X-Men – Conflitto Finale e la presenza di Giancarlo Giannini, evidentemente amante dell’horror (chi se lo ricorda in Mimic?), è spettacolare.
Di nuovo, ma non vi anticipo troppo, il male è un obbiettivo degli adulti, raggiungibile solo attraverso i bambini. Quasi che la loro purezza sia necessaria a questo viaggio.

Fragile arriva, nemmeno a farlo apposta, dopo altre 3 anni. Forse una sorta di trilogia sul male di lucasiana memoria. E di nuovo il filo conduttore molto evidente nei primi due film sembra assottigliarsi fino quasi a scomparire, in questo Fragile.
Dal mio punto di vista questa pellicola è molto più un esercizio di atmosfera che i suoi due predecessori.
La storia si snoda intorno a un ospedale nel quale sono ricoverati anche molti bambini con problemi di salute molto complessi e nel quale si sono verificati strani incidenti proprio ai piccoli pazienti.
Calista ‘Ally McBeal’ Flockhart è la nuova infermiera assegnata a sostituire una dimissionaria. Ben presto si troverà ad affrontare qualcosa di terribile che, per motivi che diventano evidenti con il proseguire della trama, ha origini occulte e metafisiche. Una sorta di forza maligna, questa volta molto più concreta del ‘male’ di Nameess e dell’oscurità di Darkness, che ha un legame con i bambini dell’ospedale.
Anche qui, non entrerò nel dettaglio del finale perché sarei un criminale e perché, a differenza di Nameless, non è condizione necessaria (soprattutto avendo a mente i suoi predecessori) per capire i meccanismi del film.
Questo film ha ricevuto, su imdb, un punteggio superiore agli altri due proprio perché secondo me, per certi versi, si allinea maggiormente ai canoni dell’horror.
Ma di nuovo, senza ricorrere troppo spesso all’effetto ‘gatto lanciato in scena’ per far saltare sulla poltroncina lo spettatore (se avete visto ‘Al calar delle tenebre’ sapete a cosa mi riferisco), c’è tutta un’opera di sapiente creazione d’atmosfera. Attraverso le debolezze dei protagonisti e il muovere le pedine della narrazione nelle giuste direzioni. E anche qui, di nuovo, un finale in crescendo costante che tiene alta la tensione.
Ancora, comunque, i bambini come indispensabile ricetta per permettere al male rinnovarsi. E di nuovo gli adulti che, traviati da questa purezza, si fanno carico di ospitare il male stesso.

[Rec] e, di riflesso [Rec] 2, a mio avviso questo secondo il suo film peggiore, fanno qualche altro passo di lato sacrificando la tematica portante di cui abbiamo parlato in favore di una regia più elaborata. L’esperimento di telecamera a spalla, la cui efficacia era già stata sperimenta nel riuscito a tre quarti ‘The Blair Witch Project‘, viene qui perfezionato e la trama vittima del sacrificio proprio in favore di una regia molto ’emotiva’ e dinamica, rispetto ai precedenti film.
Eppure il principio secondo il quale il male viene veicolato attraverso i bambini, seppure in modo più sottile e meno evidente, è presente anche qui. Il presunto virus, che si rivela essere poi qualcosa di ibrido tra la medicina e il misticismo, viene comunque incubato all’interno di un corpo bambino prima, adolescente poi. Fino a diventare l’incarnazione del male, in versione adulta. Perciò, anche qui, lo stesso male viene catalizzato dalla permanenza all’interno di una bambina fino a sbocciare, in una maturazione perversa, nel contagioso virus di cui l’adulto è portatore. Qui diventa più interessante, appunto, la regia e la scelta di mescolare religione a scienza, nella veste di un prete scienziato che tenta l’approccio medico all’esorcismo.
Del seguito non voglio parlare molto. Caduto nella lusinga commerciale, Balaguerò si perde nel tentativo di arricchire una trama che già di per sé era completa. E come spesso accade, il risultato non è per niente all’altezza del precedente capitolo. Non solo, non aggiunge nulla.

Balaguerò quindi ha preso gli standard degli horror moderni e li ha plasmati su quello che conosce e che capisce. I personaggi hanno tutti storie da raccontare che li rendono adatti a potenziare gli eventi dei quali si trovano vittime (o artefici in certi casi).
C’è anche la capacità di sorprendere, con ingegno narrativo, lo spettatore. Non è facile pensare a una storia horror originale, almeno per quelli che di horror ne masticano un po’.
Ma il fatto che gli uomini, nei film di Balaguerò, siano sempre dirette cause e conseguenze del male rende le storie di questo regista molto interessanti. Perché non c’è un mostro senza nome da combattere. Non c’è una creatura demoniaca e nemmeno un alieno.
Ci siamo noi, solamente, che indichiamo la via per raggiungerci all’oscurità. E in certi casi che apriamo porte del nostro io, come in Namless, destinate a rimanere chiuse.
Ma che sono la strada per cose ben peggiori di qualsiasi creatura della notte.

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