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[Recensioni Film] – ‘A Train to Busan’ di Yeon Sang-ho

Tempo di lettura: 4 minuti

VOTO:★★★★½

Inizio questa recensione con un lamentela: è davvero un peccato che il circuito cinematografico italiano non diffonda quasi nessun titolo concepito nel profondo oriente. Grande plauso ai (pochi) festival dedicati alla cultura cinematografica orientale perché, e A Train to Busan ne è una lampante testimonianza, permettono di accedere a prodotti davvero eccellenti.
L’impianto di base di A Train to Busan è abbastanza classico: la Corea del Sud diventa teatro di una tanto repentina quanto inarrestabile invasione zombie. Esercito, polizia, forze dell’ordine. In poche ore l’intera nazione collassa sotto il peso di un’epidemia violenta e devastante. Il punto di vista adottato dal regista però è quello dei passeggeri di un treno la cui ultima meta è Busan, città nella quale vive l’ex moglie del protagonista che deve riportare la figlia a casa.
Da qui si parte e da qui inizia un’analisi sociale claustrofobica e adrenalinica, con tanta azione e che non lascia un attimo di respiro. Accanto a tematiche classiche della cultura coreana (come mi hanno fatto notare, il forte senso della famiglia, la profonda complessità del rapporto padre/figlia, l’intreccio della società con una nuova economia solida) troviamo un vero e proprio zombie movie che riesce laddove World War Z aveva mestamente fallito inseguendo troppi spunti narrativi senza svilupparne mai davvero uno.
Gli zombie di Yeon Sang-ho corrono, in questo sono moderni e abbracciano la rivoluzione boyliana-snyderiana di 28 Giorni Dopo e L’Alba dei Morti Viventi, e hanno qualche piccola peculiarità necessaria a sviluppare l’ansiogena lotta per la sopravvivenza all’interno di un treno. Non è tanto importante come l’epidemia si è sviluppata, in poche battute ci viene offerta una spiegazione che è sufficiente a saziare la nostra curiosità. Il cuore del film è il treno, le dinamiche al suo interno, il formarsi rapido di una struttura sociale distorta che si regge sulla paura e sull’isolamento e tutta una serie di reazioni molto particolari a questo nuovo ecosistema.
Yeon Sang-ho scrive un piccolo compendio sociologico molto puntuale dividendo in classi, età, estrazione sociale e provenienza i protagonisti del film e mostrando come questi reagiscono alla nuova gerarchia post-apocalittica che deve per forza instaurarsi su un treno intrappolato in un vero e proprio inferno. Il regista semplifica ma non per pigrizia, quanto per rendere ancora più efficace la grande carica del film. Certo, adotta punti di vista privilegiati ed è a questi che noi ci aggrappiamo nell’asfissiante corsa verso la salvezza, ma l’interazione con tutti gli altri personaggi-simbolo è chiara, efficace, sferzante.
Anche il comparto tecnico, la cifra horror necessaria a definire uno zombie-movie, è semplice e funzionale: dietro ogni scelta c’è la consapevolezza che anche dal punto di vista estetico tutto deve essere al servizio dell’impianto narrativo legato al treno e allo sviluppo di QUELLA storia. Equilibrio, nessuna scorciatoia, nessun virtuosismo fine a sé stesso. Ci sono anche intuizioni interessanti, penso allo zombie con le ossa rotte che cerca comunque di muoversi sfidando l’ostacolo di una biologia fratturata (mi ha ricordato lo zombie in carrozzina di Dead Set), così come altre suggestioni mutuate dal meglio di WWZ ma nel complesso niente sempre copiato: tutto, come già detto, occupa uno spazio preciso.
E nonostante questa efficienza di tensione e pulizia, c’è comunque il tempo di commuoversi, di arrabbiarsi, di disprezzare la contemporanea piccolezza dell’uomo così come di ammirare il coraggio e la forza d’animo dei giusti.
Fino al finale dove il regista poteva strizzare l’occhio a Romero e al suo La Notte dei Morti Viventi, oppure scegliere una via personale e toccante.
Dal mio punto di vista, Yeon Sang-ho ha vinto tutto.

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